“Considerato che gravissima è la carenza degli alloggi nel Comune essendo pendenti richieste per alloggio in numero di 1147 da parte di sfrattati e sfrattandi, che attraverso informazioni prese attraverso normali organi di informazione risultano essere assolutamente nell’impossibilità di procurarsi un quartiere o altra sistemazione per non avere i mezzi per pagare un fitto corrente al mercato libero anche di una sola camera” il sindaco ordina “la requisizione immediata dello stabile”. Quel matto di Filippo Nogarin? No, il sindaco-santo Giorgio La Pira.
La Pira emise l’ordinanza da cui sono tratte queste parole il 21 febbraio del 1953 dietro suggerimento del magistrato cattolico Giampaolo Meucci, il quale gli fornì l’appiglio giuridico scovando una norma del 1865 (la n. 2248) che all’art. 7 dell’allegato E prevedeva la possibilità per l’autorità amministrativa, “per grave necessità pubblica”, di disporre “della proprietà privata”. Nel 2007 l’adunanza plenaria del consiglio di Stato ha precisato che questo potere spetta al prefetto, salvo che si presentino assolute ragioni di necessità e urgenza tali da non consentire l’intervento del prefetto stesso.
La Pira si era trovato a fronteggiare una situazione disastrosa: numerosi sfratti e la povera gente che si rivolge al Comune di Firenze. E La Pira non può rimanere sordo alle grida, alla gente a cui rimane solo il mobilio, agli sfrattati e ai disoccupati. Non può tacere: 500 sfratti nel ’50, quasi 800 l’anno successivo, una previsione di 1000 per il 1952. Scrive nei suoi appunti: “Ho un solo alleato: la giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta. Ciò significa: 1) lavoro per chi ne manca 2) casa per chi ne è privo”.
E così agisce: firma l’ordinanza che gli varrà una gragnòla di critiche da ogni parte. Ma non arretra. Aveva proposto ai proprietari di immobili in città di affittare i loro quartieri, ma essi erano stati sordi all’appello. Persino Pio XII, nel suo saluto natalizio di qualche mese dopo, e giudicando senza nominare altre iniziative del sindaco, a lui si era rivolto parlando di “banditori carismatici”, e richiamando – ah, la dottrina sociale della Chiesa! – a una politica anticomunista senza cedimenti. La Pira si riconosce, e così risponde: la marea dei licenziati, degli sfrattati, “viene da me e mi chiede lavoro e assistenza! E io che potrei fare? Cosa dire? ‘Congiuntura economica’? Beatissimo Padre, quanta dolorosa menzogna sotto queste parole raffinate!”.
Le parole di La Pira sono ancora oggi un macigno per coloro che in quello stesso messaggio egli definiva “sepolcri imbiancati”. “Ho parlato chiaro ai fascisti e ai comunisti“, continua, “parlo chiaro anche ai proprietari che non sono consapevoli delle gravi responsabilità connesse coi talenti che Dio loro affida”. Leggere questa lettera di La Pira del giorno di Natale del ’53 provoca ancora oggi una certa emozione. Per la sua politica sociale di aiuto ai disoccupati, di intervento nelle vertenze industriali (la Pignone), per le scelte drastiche per risolvere l’emergenza abitativa il sindaco è stato attaccato dai tutti, dal Corriere della Sera, dal Tempo, da Oggi.
E così scrive al pontefice: “Voi sapete, Beatissimo Padre, quali sono i potentissimi organismi economici – finanziari ed industriali – che muovono le leve ‘ideali’ di questa stampa”. Roba da fare un balzo sulla sedia ancora oggi! La bella stagione del cattolicesimo radicale a Firenze, con le sue diverse figure, da La Pira appunto a Ernesto Balducci a Enzo Mazzi, oggi fa impallidire persino quelli che danno a papa Francesco del “comunista”. Se il “papa della fine del mondo” non è tenero e tuona contro le ingiustizie, i suoi detrattori, dandogli del marxista, dimenticano che Marx aveva proposto come abbattere la disuguaglianza: socializzare i mezzi di produzione, abbattere lo Stato, porre fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Le parole e le opere di La Pira sono in questo di una dirompenza senza pari.
“Un uomo così fatto, Beatissimo Padre” – scrive ancora al papa – “non può stare nel sistema politico attuale ed è bene che ne esca”. Urgenza dei bisogni e concretezza degli interventi, dice La Pira quando nel 1951 parla al convegno dei giuristi cattolici a proposito di Stato moderno e cristianesimo. Nelle sue parole si legge tutta la tensione di chi viene chiamato, solo, a rispondere: ognuno di noi, dice citando Giovanni Crisostomo, dovrà dar conto di tutto il mondo. Ognuno di noi. Dimensione coscienziale e dimensione politica si fondono. Ciò che la sua coscienza di uomo e di cristiano gli prescrive di fare, è quello a cui egli non può sottrarsi.