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David Huddleston, morto “il grande Lebowski”: storia di un personaggio diventato culto (e di un film diventato religione)

I giornali di mezzo mondo oggi titolano accostando il suo nome a Il Grande Lebowski, il film dei fratelli Coen del 1998, rimasto nell'immaginario collettivo come un vero e proprio cult, oggetto di una sorta di religione laica, da cui sono nate vere e proprie filosofie di vita

di Domenico Naso

A ottantasei anni è morto David Huddleston, attore caratterista dalla carriera lunga e zeppa di partecipazioni a serie tv, di successi a teatro e di qualche indimenticabile prova cinematografica. Nonostante il buon Huddleston possa contare su una lista di lavori decisamente lunga (tra cui alcune delle serie più amate della tv come Bonanza, Perry Mason, Dick Van Dyke Show, Kung Fu, Barnaby Jones, Charlie’s Angels, Hawaii Five-O, Magnum P.I., La Signora in giallo, Walker Texas Ranger, Star Trek, The West Wing, Una mamma per amica), i giornali di mezzo mondo oggi titolano accostando il suo nome a Il Grande Lebowski, il film dei fratelli Coen del 1998, rimasto nell’immaginario collettivo come un vero e proprio cult, oggetto di una sorta di religione laica, da cui sono nate vere e proprie filosofie di vita.

Nella pellicola con Jeff Bridges, John Turturro e John Goodman, Huddleston interpretava proprio Jeffrey Lebowski, il milionario omonimo del protagonista, al centro di uno scambio di persona che innesca tutti gli indimenticabili intrecci di un capolavoro universalmente riconosciuto. Un fenomeno che è andato molto al di là del cinema, visto che in quasi vent’anni il film ha prodotto lunghi e serissimi articoli e saggi che hanno cercato di trarre una sorta di filosofia dal modus vivendi del protagonista, mettendoci anche un po’ di politica, che non guasta mai.

È nata addirittura una religione, o qualcosa del genere: il “Dudeismo” (da The Dude, il soprannome del protagonista che in italiano è stato trasformando in Il Drugo), un misto di taoismo ed epicureismo che per molti è un gioco, uno scherzo, una burla, ma che invece è considerato in maniera sin troppo seria da chi ha vi ha aderito. C’è persino una sorta di giorno sacro (il 6 marzo), un libro sacro (The Dude De Ching) e centinaia di migliaia di ordinazioni “sacerdotali”. Tutt’altro che un gioco, dunque. Non potevano mancare neppure le interpretazioni politiche, variegate e spesso in contrasto tra loro. E se Walter Sobchak, il personaggio interpretato da John Goodman, è visto come un “neocon”, il protagonista è decisamente più a sinistra, un mix tra culture orientali e marxismo di stampo trotzkista.

La fortuna del film dei Coen, che in effetti sono maestri nella creazione di fenomeni cult, continua a crescere anche a distanza di quasi due decenni, andando a toccare nuove generazioni che teoricamente non hanno nulla a che spartire con lo scenario culturale, cinematografico e quasi esistenziale degli anni in cui è uscito il film. Basti pensare che dal 2002, a Louisville, si svolge il Lebowski Fest, una sorta di Festival dedicato totalmente alla pellicola con proiezioni, dibattiti, musica dal vivo. Un appuntamento tipicamente americano per celebrare l’influenza culturale di un capolavoro cinematografico. Nel corso degli anni si è parlato a più riprese di un possibile sequel, ma quando un film resta così impresso nell’immaginario collettivo del pubblico, avventurarsi in un secondo capitolo è sempre molto rischioso. Ciononostante, proprio pochissimi giorni fa Jeff Bridges era tornato sull’argomento, riuscendo a riaccendere gli entusiasmi dei fan: “Sarebbe divertente tornare nei panni di Drugo per un piccolo cameo. John Turturro ha tra le mani una sceneggiatura che è pressoché ultimata”.

Non si tratterebbe, dunque, di un The Big Lebowski 2, ma di una sorta di spin-off incentrato sul personaggio di Jesus Quintana, interpretato da John Turturro. The Dude tornerebbe solo per una breve apparizione, una sorta di passaggio di consegne, di continuità narrativa. Il progetto è totalmente nelle mani di Turturro, con i Fratelli Coen che sarebbero pronti a benedirlo ma in nessun caso lo dirigerebbero. Il rischio di deludere i “dudeisti”, dicevamo, è troppo alto. E con la religione non si scherza.

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