Provaci ancora, Goffredo. Forse la legislatura numero 17, proprio nell’anno delle Olimpiadi, ad onta di cabale e superstizioni, potrebbe essere quella buona, dopo i molti tentativi andati a vuoto, per vedere finalmente in Costituzione, accanto al Tricolore, “Fratelli d’Italia” (che in realtà si chiama il “Canto degli Italiani”) come inno nazionale. Un’attesa lunga 70 anni per la composizione del giovane eroe risorgimentale Goffredo Mameli, caduto a soli 22 anni sotto i colpi dei soldati francesi al servizio da Pio IX.
E’ il 12 ottobre del 1946 quando il primo governo della Repubblica guidato da Alcide De Gasperi stabilisce che da lì in poi quella che era stata la colonna sonora del Risorgimento avrebbe rappresentato in versi e musica tutta la nazione. Il Canto composto da Mameli verrà intonato per la prima volta come inno nazionale il 4 novembre, per il giuramento di fedeltà delle forze armate alla Repubblica. In calce al verbale di quel Consiglio dei ministri, una nota: “Il governo proporrà uno schema di decreto col quale si stabilisca che provvisoriamente l’inno di Mameli sarà considerato inno nazionale”. Il decreto però, non verrà mai scritto né emanato. I francesi, la “Marsigliese” ce l’hanno in Costituzione dal 1958, noi stiamo ancora aspettando.
Eppure, di tentativi in Parlamento ce ne sono stati, fin dalla quattordicesima legislatura. Il primo, nel 2002, a firma del deputato di Alleanza nazionale Antonino Ghiglia. Ma non se ne fa nulla. Tre anni dopo, in Senato maggioranza e opposizione sono alleati in questa battaglia: le proposte di Forza Italia e Ulivo confluiscono in un testo unificato che ottiene il via libera dalla commissione Affari costituzionali del Senato. Sembra fatta, ma l’Udc volta le spalle a Silvio Berlusconi e la crisi di governo manda tutto a gambe all’aria, compreso il cammino dell’inno di Mameli, a pochi passi dalla meta.
Nella legislatura successiva è un fuoco di fila: ben nove le iniziative di legge per dare all’Italia, ufficialmente, un inno. Partito democratico e Pdl fanno di nuovo fronte comune. Fra le tante proposte, anche quella del Consiglio regionale della Basilicata. Ma, nonostante la mobilitazione, il Canto degli Italiani resta ancora una volta al palo. E arriviamo alla legislatura in corso. Le proposte sono tre: due del Pd ed una di Fratelli d’Italia (chissà che il nome del gruppo parlamentare di Giorgia Meloni non porti bene). Il deputato dem Umberto D’Ottavio, primo firmatario di una delle proposte, ha annunciato a giugno una raccolta di firme per sensibilizzare i colleghi di maggioranza e opposizione a non sprecare l’ennesima occasione. Ma la strada appare in salita. Difficile, infatti, che l’invito riesca a far breccia tra gli esponenti del Carroccio da sempre schierati al fianco del celebre coro del Nabucco di Verdi, quel “Va pensiero” che, in verità non solo per i “padani”, avrebbe le carte in regola per sostituire il Canto degli Italiani.
E pensare che a Giuseppe Mazzini, che pure lo aveva commissionato al giovane Mameli, quell’inno non piaceva: troppo retorico il testo, poco solenne la musica. Invece, il “Canto degli italiani”, scritto nel 1847 e musicato da Michele Novaro nello stesso anno, è divenuto insieme al Tricolore uno dei simboli del Risorgimento prima e dell’Italia unita poi. Eppure, nonostante sia stato un efficacissimo strumento di propaganda degli ideali risorgimentali, le critiche non sono mancate. Anche in tempi recenti. A cominciare dalle accuse di “maschilismo” lanciate dallo storico Antonio Spinosa che in quei versi non trova nessun accenno alle imprese delle eroine risorgimentali come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi.
Di guai, l’Inno di Mameli ne ha passati anche durante il ventennio fascista: dopo la marcia su Roma, infatti, viene appena tollerato, spodestato da quelli fascisti che confinano in un angolo anche la “Leggenda del Piave” riesumata solo una volta l’anno, il 4 novembre, per ricordare la vittoria sugli austriaci. Solo alla fine della seconda Guerra mondiale il giusto riconoscimento quando, a Londra, Arturo Toscanini dirige l’Inno delle nazioni, composto da Verdi nel 1862. Accanto a “God Save the Queen” ed alla “Marsigliese”, c’è proprio Il “Canto degli Italiani”.
Con la Repubblica Mameli torna alla ribalta. Negli anni Novanta, però, l’Inno è coinvolto suo malgrado in una dura polemica che investe la nazionale di calcio: ai mondiali del 1994 e del 1998, gli azzurri vengono accusati di fare scena muta sulle note dell’inno nazionale. Quattro anni dopo, ai mondiali in Giappone e Corea, i calciatori lo cantano ad una voce sola, dopo le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Due anni prima aveva fatto scalpore la proposta, provocatoria, di Gianni Baget Bozzo di sostituire i versi di Mameli con un inno a Berlusconi. Insomma, il “Canto degli Italiani” ne ha passate davvero tante. Forse è arrivato il momento di riconoscergli il diritto di restare per sempre, nero su bianco, nel posto che gli spetta: nella Costituzione, accanto al Tricolore.