I dati emergono da uno studio dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro. Caso a parte il Mezzogiorno, dove gli stranieri sono attivi principalmente nel settore agricolo e nell’edilizia e hanno ancora un tasso di occupazione "di almeno 10 punti superiore a quello dei nostri connazionali"
Sono stati i lavoratori stranieri quelli che hanno risentito di più della crisi in Italia. A dimostrarlo è un’indagine dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro secondo cui tra “il 2009 e il 2014” il tasso di occupazione degli immigrati nella Penisola “è sceso di 6 punti percentuali, rispetto ai 2 persi dagli italiani”. I maggiori effetti negativi al Nord, dove si è passati “dal 68% di persone in attività del 2008 al 59% del 2014“.
Questo a fronte del fatto che “negli ultimi 10 anni gli stranieri sono più che raddoppiati salendo da 2,2 milioni nel 2005 a 4,9 nel 2015” e ad aver preso la residenza italiana è stato “l’8,3% rispetto al 3,9% iniziale”. Dallo studio emerge, dunque, come la congiuntura negativa abbia colpito più duramente la componente straniera, che è anche quella più impegnata nei servizi domestici “non qualificati”: sono loro a svolgerli nel 72,4% dei casi. Gli immigrati, però, sono impiegati anche nei “servizi alla persona in qualità di professionista qualificato (11,2%), nelle attività di ristorazione (8,1%) e nei servizi di pulizia degli uffici (7,2%)”. Ma, prosegue la ricerca dell’Osservatorio statistico, per gli stranieri le opportunità nel nostro mercato del lavoro sono in progressiva diminuzione dopo che il loro tasso di occupazione ha conosciuto un calo del 4% in un solo anno, tra il 2012 e il 2013.
Caso a parte il Mezzogiorno dove gli immigrati, le cui attività sono principalmente legate al “settore agricolo e all’edilizia“, hanno ancora “un tasso di occupazione di almeno 10 punti superiore a quello dei nostri connazionali”. Nel 2007, alla vigilia della crisi economica, la percentuale di extra-comunitari impiegati al Sud arrivava al 61%, mentre nel 2015 è calata fino al 54%, quota comunque superiore alla performance degli italiani che lavorano nelle regioni meridionali che, lo scorso anno, si è fermata al 42% (nel 2014 era anche più bassa di un punto percentuale).