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Libia & C.: l’Italia si sganci dal meccanismo della guerra

Con un rapporto pubblicato recentemente, due organismi attivi sul campo della raccolta d’informazione in ordine a corruzione e traffici internazionali, il Birn (Balkan Investigative Reporting Network) e l’Occrp (Organized Crime and Corruption Reporting Project) hanno denunciato un traffico d’armi del valore di ben 1,2 miliardi di euro verso il Medio Oriente e il Nordafrica. Si tratta di armi e munizioni provenienti da Paesi dell’Est europeo quasi tutti membri della Nato (Croazia, Repubblica Ceca, Serbia, Slovacchia, Bulgaria, Romania Bosnia-Erzegovina, Montenegro) e dirette verso Paesi medio- orientali (Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Turchia). Ma destinatari finali del traffico sono gruppi armati operanti in Siria, Libia ed Yemen, tra i quali il famigerato Isis ed altre formazioni fondamentaliste.

Il rapporto in questione fornisce informazioni dettagliate sui vettori del traffico (compresa la Marina militare statunitense) e la sua entità e composizione (tanto per fare un esempio 10.000 kalashnikov e 300 tanks forniti all’Arabia Saudita). Altra circostanza degna di nota è che il traffico in questione si sia sviluppato soprattutto a partire dal 2012, in coincidenza con gli eventi noti come “primavera araba”. Il ruolo di distribuzione degli armamenti e delle munizioni in loco è svolto da centri noti come Military Operations Center (MOC) e formati da personale militare e dei servizi di Turchia, Paesi del Golfo, Giordania e Stati Uniti. Secondo Robert Stephen Ford, ambasciatore statunitense in Siria dal 2011 al 2014, anche la CIA è direttamente coinvolta, ma la decisione finale su chi possa ricevere armamenti è riservata ai Paesi direttamente impegnati nel rifornire i gruppi armati. Lo Special Operations Command (SOCOM) del Dipartimento di Difesa statunitense ha operato a sua volta ingenti trasferimenti di armi e munizioni ai gruppi impegnati nella guerra civile siriana.

Vale la pena di sottolineare come i due organismi autori del rapporto menzionato siano delle reti investigative di giornalisti indipendenti. Sarebbe del resto stato illusorio aspettarsi che i governi, che sono i principali colpevoli di questo traffico totalmente illegale, fornissero al riguardo alcun elemento. L’opinione pubblica è lasciata nel buio più totale e chiedere ad enti che istituzionalmente dovrebbero vegliare alla sicurezza nazionale e internazionale di muoversi per bloccarlo sarebbe come chiedere alla Rai di Campo Dall’Orto di svolgere un’informazione completa e obiettiva sul referendum costituzionale. Dobbiamo apprezzare la sincerità del ministro serbo Vucic quando afferma di “adorare” le esportazioni di armamenti verso l’Arabia Saudita. Nella consapevolezza tuttavia che la presenza di personaggi del genere al vertice degli Stati avvicina notevolmente l’estinzione del genere umano e produce violazioni dei diritti e sofferenze inaudite.

Dobbiamo peraltro riflettere sul meccanismo che è stato posto in atto e che rischia di ricevere ulteriore slancio dall’escalation dei bombardamenti occidentali in Libia ai quali, sia pure in veste come sempre subalterna, è associato anche il nostro Paese. Il meccanismo in questione consiste nella sostanza in questo, con una mano si riforniscono i vari gruppi più o meno terroristici operanti nei Paesi menzionati, di armamenti di ogni genere e con l’altra li si bombarda quando conviene farlo o perché diventano troppo pericolosi. Lo si vede attualmente in Libia, laddove i bombardamenti sono direttamente funzionali al sostegno di un governo non troppo dotato di sostegno popolare come quello di Al Sarraj, nel contesto anche di dinamiche di conflittualità interna tra potenze imperialiste tutte fortemente interessate ai giacimenti libici (la Francia, principale responsabile dell’attuale situzione di caos nel Paese, sostiene Haftar contro Al Sarraj). Certamente formazioni come Isis vanno estirpate anche con il ricorso alla forza armata ma non ha certo senso a tale scopo armarli fino ai denti come hanno fatto e continuano a fare i Paesi menzionati. Ci vuole inoltre un progetto politico che sembra totalmente assente in Libia, mentre in Siria comincia a delinearsi quello della riorganizzazione del Paese su base federale esemplificato dal governo della Rojava. Andrebbe potenziato il ruolo del Consiglio di Sicurezza che ha emanato al riguardo la risoluzione 2259, superando le tendenze alla ripresa all’unilateralismo esemplificate dalla decisione statunitense.

La nostra mediocre classe politica, rappresentata da personaggi chiaramente non all’altezza della situazione come Renzi, Gentiloni, Pinotti e Mogherini, continua a barcamenarsi. Per tutto un periodo ha giustamente rifiutato (almeno a parole) un impegno diretto nel sanguinoso pasticcio libico, ma senza riuscire ad elaborare alcuna posizione degna di questo nome, tanto è vero che oggi accorre scodinzolando all’irresistibile richiamo dei padroni di sempre. L’Italia, in omaggio al suo ruolo di potenza mediterranea, dovrebbe invece restarne fuori e cominciare a smontare il meccanismo mortifero e diabolico di cui si è parlato. Quantomeno seguendo l’esempio dell’Olanda che ha decretato la fine delle esportazioni di armamenti verso l’Arabia saudita, a costo di privare i propri funzionari dei preziosi Rolex elargiti dal governo di quest’ultima. Ma non c’è spazio per decisioni di questo tipo all’interno dell’asfittico orizzonte di politica estera praticato dal nostro governo che si proietta verso una nuova avventura bellica dagli sviluppi ed esiti indefiniti aggirando ogni controllo parlamentare e popolare.