Società

Terrorismo, tacere i nomi degli attentatori non serve. Non sono eroi ma piccoli vigliacchi

Dobbiamo chiederci se l’enfasi con cui vengono descritti gli attentati terroristici possa alla lunga divenire una concausa del loro diffondersi? Qualcuno che in questo momento, per varie motivazioni, medita il suicidio potrebbe essere tentato dall’idea di compierlo attraverso una modalità che ha dimostrato la sua forza mediatica. Emulare gli stragisti per persone che si sentono ai margini e piene di sofferenza potrebbe divenire il modo per assumere un ruolo quasi eroico.

Le Monde ha deciso di non dare spazio mediatico a questi personaggi in particolare non mettendo nomi e foto.

Personalmente sono contrario. Questa strategia avrebbe senso solo se accompagnata dal celare anche la notizia dell’attentato, come succede nel caso di suicidi, o derubricarla a semplice trafiletto. Credo che questo sia impossibile perché si tratta di notizie molto rilevanti per l’opinione pubblica che ha il diritto di conoscerle. Tenere riservati i nomi o le foto darebbe meno notorietà agli aggressori singoli ma rimarrebbe l’esposizione mediatica dell’Isis che anzi, da questo celare i nomi dei singoli, apparirebbe ancora più compatta e monolitica.

Il mio consiglio è duplice. Da un lato occorre cercare di catturare questi assalitori senza, possibilmente, ucciderli. La morte nobilita ogni evento che il defunto ha compiuto e di fronte alla morte tutti abbiamo un certo livello di rispetto. Per fare questo occorre modificare le regole di ingaggio delle “teste di cuoio” per cercare il più possibile di imprigionare i colpevoli. Una volta catturati metterei sui media le loro miserie, contraddizioni e pochezze. Non sono dei grandi eroi ma spesso dei piccoli vigliacchi che non riuscendo ad affrontare la vita fuggono in un mondo psichico orribile popolato da nemici immaginari. Un grave errore dei media è stato quello di descrivere Breivik attraverso le sue ideologie naziste senza invece enfatizzare la sua pochezza intellettuale, la chiusura e incapacità di fronte al mondo e all’altro sesso. Nelle descrizioni di Coulibaly abbiamo capito che si tratta di un poveraccio pieno di problemi e difficoltà.

Il mio consiglio per i giornalisti sarebbe quello di andare a scoprire e mettere a nudo la vita di questi personaggi facendo venire alla luce quello che ritengo essere il minimo comune denominatore delle loro personalità: la paura di affrontare le difficoltà del mondo e la sofferenza nello scoprire di non essere all’altezza dei propri desideri.

In sintesi non nascondere ma svelare. Non indulgere nel sensazionalismo ma mostrare le pochezze e le miserie che emergono nella vita di questi assassini.