Il presidente Yoweri Museveni, al potere da 30 anni, non ha dubbi: “Non c’è posto al mondo più democratico dell’Uganda”. Una boutade a cui la comunità internazionale sembra credere soprattutto quando paragona il paese dell’Africa orientale ai suoi vicini come Sudan del Sud, Kenya e Congo. Ma l’Uganda non è un esempio di pace e stabilità e, alla faccia della sua Costituzione progressista, sta vivendo una pericolosa involuzione nel rispetto dei diritti umani e della libertà d’espressione. E una serie di normative tese a colpire stampa, ong e omosessuali, stanno trasformando la democrazia in uno stato autoritario. Nel 2013 il Paese assurse alla ribalta mondiale quando il presidente emanò, per poi ritirarlo travolto da una serie di pressioni internazionali, l’anti-homosexuality act, una legge che prevedeva la pena di morte per il “reato di omosessualità aggravata”.

“E’ almeno dal 2014 che la situazione si è fatta molto critica”, spiega Grazia Paoleri di Soleterre, organizzazione non governativa che nello stato africano si occupa di progetti sanitari, pediatrici e da qualche anno porta avanti un programma di tutela dei “difensori”, quelle persone o organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. “Sì, ho paura per l’incolumità dei nostri partner locali”, prosegue la cooperante. Come l’avvocato Livingstone Sewanyana, della Foundation for Human rights initiative che difende i perseguitati politici: “Seguiamo un migliaio di casi ogni anno”. Gli fa eco Nuruh Nakiwala della East and Horn of Africa HR defender project: “Persecuzioni e minacce sono all’ordine del giorno. Il governo ci terrorizza per imporci il silenzio”.

Queste due organizzazioni sono fra i soci locali di Soleterre e sempre più spesso sono nel mirino delle autorità. “I difensori dei diritti umani come me sono seriamente in pericolo – prosegue Sewanyana – Capita che le nostre sedi siano assaltate. E non c’è mai una spiegazione su questi episodi”. Impunità supportata da leggi liberticide: dall’Ngo bill che mette la mordacchia alle organizzazioni internazionali, alle normative-bavaglio contro la stampa. “Il Public order act criminalizza la copertura delle fonti – spiega Robert Sempala, della Human rights network for journalists – mentre se un cronista si occupa di diritti degli gay, può finire in carcere per apologia dell’omosessualità”.

La situazione diventa ancora più grave se ci si allontana dalla capitale Kampala e si va nelle aree rurali, dove il livello di violenze è ancora maggiore e a farne le spese è anche la gente comune. Come a Gulu, nel nord, un territorio sconvolto fino pochi anni fa da una sanguinosa guerra civile, dove non è difficile morire in carcere dopo un semplice controllo di polizia. Per fortuna anche in quel l’area si fanno sentire i difensori che, in mezzo a mille difficoltà, seguono i casi violenze, omicidi e sparizioni.

In una situazione del genere Internet gioca un ruolo fondamentale, sia come strumento di denuncia, sia come piattaforma per proteste e mobilitazioni. Tant’è che il governo può bloccare la Rete a suo piacimento, come durante le ultime elezioni quando, a febbraio 2016, Museveni è stato rieletto in un clima di intimidazioni e brogli. Tant’è che uno dei progetti più importanti è quello che riguarda la sicrezza dei dati. Lo spiega Neil Blazevic della Pan-african human rights defender network: “I difensori che indagano sugli abusi raccolgono dati e informazioni. Di conseguenza il materiale raccolto li mette in pericolo, così è necessario renderlo indecifrabile dalle intrusioni informatiche”.

Intrusioni che spesso sono vere e proprie irruzioni. “La nostra sede è stata assaltata tre volte negli ultimi due anni – racconta Sempala del network che difende i cronisti – Hanno preso i pc, la cassaforte e le carte. Quando siamo andati a fare denuncia abbiamo scoperto che la cassaforte rubata era dalla polizia”. Uno degli ultimi casi che la fondazione sta seguendo è la vicenda del reporter tv Andrew Lwanga, brutalmente picchiato dalla polizia durante il suo lavoro fino a lesionargli la spina dorsale. Ora cammina a fatica e continua a ricevere minacce: “La mia paura più grande? Che qualcuno gli spari”  di Lorenzo Galeazzi

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