I dipendenti delle aziende italiane, sia pubbliche sia private, devono lavorare in media 31 anni per guadagnare quanto il loro amministratore delegato in un anno, ma se quest’ultimo cumula altre cariche (direttore generale, presidente o vicepresidente) si può arrivare a 43 anni. E’ quanto emerge dall’annuario del Centro studi e ricerche di Mediobanca, che evidenzia anche come lo scorso anno l’occupazione sia diminuita del 14,8% nei gruppi pubblici, come risultato di un calo del 37,9% dei lavoratori all’estero e di un -4,3% in Italia. L’industria privata, al contrario, ha visto aumentare i posti di lavoro, ma quasi solo fuori dai confini italiani (+12%), mentre nella Penisola sono rimasti quasi invariati (-0,2%).
Il fatturato complessivo dei 50 maggiori gruppi italiani quotati è calato del 5% rispetto al 2014 per effetto di un calo del 16,1% segnato dal pubblico, non compensato dal progresso del 7,5% delle imprese private. Per quanto riguarda la redditività (margine operativo netto), quella dei gruppi privati è quasi doppia rispetto a quella delle aziende pubbliche: 12,4% contro 6,8%. La generazione di ricchezza del comparto pubblico, sottolinea il rapporto, è “quasi nulla“: solo lo 0,6% del capitale investito. Al contrario quella della manifattura privata è del 4,2%, sette volte tanto. In compenso le aziende statali hanno distribuito ai loro azionisti lauti dividendi: tra 2011 e 2015 l’Eni ne ha distribuiti per 5,6 miliardi, Enel per 2,3, Poste per 1,6, Snam per 1,3. Introiti destinati a ridursi, per lo Stato, a valle delle privatizzazioni.
A registrare il risultato migliore, nel settore privato, è la manifattura, il cui giro d’affari su base grezza è salito del 10,3%, contro il crollo del 19,8% fatto segnare dall’energetico e il progresso del 6,6% del non energetico. Per quanto riguarda le singole società, a far segnare la variazione più evidente in positivo (in questo caso su base omogenea) è Moncler, con un +26,8%, seguita da Brembo (+16,2%) e Luxottica (+13,5%). Dal lato opposto della graduatoria, si segnalano la contrazione del 27,3% fatta segnare da Eni, quella del 6,8% di Edison e quella del 6% di Danieli.
L’età media dei componenti dei consigli di amministrazione è di 58 anni ed è invariata rispetto al 2014. Il cda più “giovane” risulta essere quello di Acea (47 anni come media). La presenza femminile è salita, passando dal 26% medio del 2014 al 30%. Nei board delle società pubbliche le quote rosa sono più significative (35%) e l’età media più bassa (55 anni). Le posizioni apicali restano comunque prerogativa maschile: la quota femminile si ferma al 12%.