La magistratura contabile rileva che l'avviso pubblico stabiliva che lo sponsor avrebbe potuto usare l'immagine dell'Anfiteatro solo per la durata degli interventi, mentre il contratto con il gruppo marchigiano li ha protratti "per i due anni successivi". E per altri 15 anni potrà sfruttarla la "istituenda associazione Amici del Colosseo, di diretta emanazione dello stesso"
Perplessità sulla “quantità e la durata dei diritti (in prevalenza diritti d’uso di immagini, spazi e informazioni) concessi allo sponsor e alla istituenda associazione Amici del Colosseo, di diretta emanazione dello stesso”. E “notevole ritardo nell’avvio” della nuova fase di lavori. La Corte dei Conti ha messo in fila diversi dubbi sulla convenienza economica, per lo Stato, del restauro dell’Anfiteatro Flavio finanziato con 25 milioni di euro dalla Tod’s di Diego Della Valle. Il restauro della facciata si è concluso, con tanto di inaugurazione alla presenza del premier Matteo Renzi lo scorso 1 luglio, ma la fase 2 (restauro dei sotterranei) deve ancora prendere il via. E secondo la magistratura contabile, che ha pubblicato un’indagine su tutte le ‘Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali, all’imprenditore marchigiano socio di Ntv e di Rcs è stata concessa di fatto “una esclusiva sicuramente ultraventennale” sui diritti d’uso, che invece sulla base dell'”originario avviso pubblico” avrebbero dovuto essere concessi “per la durata dei lavori e non per periodi ulteriori”.
“Diversamente”, sottolinea il documento, “nel contratto stipulato si stabilisce, per un verso, che i diritti dello sponsor si protraggono per i due anni successivi alla conclusione dei lavori allo stato completati in minima parte senza che ciò comporti corrispettivi aggiuntivi al contributo e, per l’altro, che quelli concessi all’associazione avranno una durata di quindici anni a partire dalla data della sua costituzione (di cui non si ha notizia) eventualmente prorogabili: con il risultato che, a fronte di una esclusiva sicuramente ultraventennale, il corrispettivo pagato dallo sponsor ammonta a euro 1.250.000 ad anno (importo che si ottiene dividendo la somma di 25.000.000 euro, che corrisponde al finanziamento totale offerto dallo sponsor, per il tempo di durata dei diritti concessi all’associazione)”.
“Si raccomanda all’amministrazione – prosegue la Corte – di dare impulso, in considerazione dei notevoli ritardi accumulatisi, all’attività di progettazione ed esecuzione dei lavori e di vigilare in ordine al rispetto dei tempi previsti“. La conclusione dell’indagine, che allarga lo sguardo ai risultati di tutte le sponsorizzazioni culturali, è che non solo sono “poche rispetto alle necessità esistenti”, “occasionali e per lo più frutto delle proposte di operatori privati”, ma “non sempre è stato possibile accertare l’effettivo rispetto, da parte dello sponsor, degli impegni contrattuali, soprattutto nelle operazioni di sponsorizzazione tecnica, così da mettere in forse il raggiungimento degli obiettivi in termini di valorizzazione del bene culturale”.
Martedì il senatore di Forza Italia Francesco Giro, membro della commissione Cultura, ha commentato sostenendo che “la Corte dei Conti avrebbe ragione sul Colosseo se fossimo sul pianeta Marte” perché “lamentare come fa la Corte i ritardi del restauro del Colosseo e di conseguenza la presunta sperequazione ‘dare-avere’ fra sponsor e amministrazione del ministero non tiene conto degli inevitabili contenziosi che vi sono stati per osteggiare in tutti i modi questa mega sponsorizzazione oggi presa a modello da tutti”, “il tutto condito da denunce in sede penale e civile tuttora in fase di dibattimento e valutazione. Ma allora la Corte perché non ne parla?”.