La ministra difende le riforme costituzionali, ma i modi non piacciono alla fronda dem. Che attacca anche sul simbolo della Festa dell'Unità: lo slogan "L'Italia che dice sì", corredato da una grande "X" verde e rossa, secondo alcuni ricorda troppo il segno che si utilizza sulla scheda elettorale per esprimere la preferenza
Maria Elena Boschi difende con il coltello tra i denti le riforme costituzionali e le ragioni del sì al referendum: “Chi propone di votare No non rispetta il Parlamento”. Parole che irritano la minoranza dem, da cui parte l’invito a “non demonizzare” gli elettori del Pd che voteranno contro. Intanto nel Partito Democratico si apre un altro fronte di polemica, questa volta sul simbolo della Festa dell’Unità: lo slogan “L’Italia che dice sì“, corredato da una grande “X” verde e rossa, secondo alcuni ricorda troppo il segno che si utilizza sulla scheda elettorale per esprimere la preferenza.
“Abbiamo scelto di rispettare in toto la procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione per modificarla – ha specificato la ministra per le Riforme durante un convegno a Roma per il Sì al referendum costituzionale – questo ha significato scegliere la strada più dura. Ma ora è un elemento di forza anche rispetto a chi propone di votare No buttando via due anni di lavoro e ricominciare daccapo. Ma questo vuol dire non rispettare il lavoro che il Parlamento ha fatto: sei votazioni con maggioranze che hanno sfiorato il 60%. Un dibattito vero”, sottolinea il ministro. Che a maggio aveva fatto infuriare i partigiani distinguendo tra quelli “veri” che voteranno sì e tutti gli altri nonostante l’Anpi avesse fatto sapere di essere per il No.
Non appena i primi malumori hanno cominciato a manifestarsi, l’ufficio stampa del ministro provava a specificare: “La frase ‘non rispetta il lavoro parlamentare’ era chiaramente ed evidentemente riferita solo a coloro i quali oggi chiedono di ripartire da capo con il percorso delle riforme in Parlamento” e non “a chi legittimamente deciderà di votare No al referendum”. Troppo tardi.
Poco dopo dalla minoranza dem partivano i primi strali. “Anche i dati apparsi in un sondaggio di questa mattina sul Messaggero, indicano che c’è un terzo circa di elettori di centrosinistra che sono orientati per il No – attaccava Federico Fornaro – ignorarli o peggio finire per demonizzarli non credo sia utile, sia in vista del referendum sia delle prossime elezioni politiche”. “Se si dessero risposte invece di lanciare anatemi, si renderebbe un servizio migliore al Paese, allo spirito dell’articolo 138 della Costituzione e anche al Pd. Seguendo il ragionamento della Boschi di oggi, nel 2006 per il rispetto del lavoro del Parlamento, avremmo dovuto votare sì ed invece giustamente il popolo italiano bocciò quella riforma sbagliata“, conclude il senatore.
Ma in casa democratica i malumori non sono finiti: il Pd promuove la campagna referendaria dando anche alla festa nazionale dell’Unità il titolo: “L’Italia che dice sì“. Una scelta fin dall’inizio criticata da Pier Luigi Bersani. “E’ sbagliato trasformare il simbolo e il messaggio delle feste dell’Unità in una scheda elettorale – parte lancia in resta Miguel Gotor – in questo modo emarginiamo centinaia di migliaia di iscritti al Pd e di elettori del centrosinistra che vorrebbero continuare a votare il nostro partito anche se sceglieranno il No al referendum. E’ un atto miope. Non è una questione di maggioranza o minoranza del Pd, è un errore di linea politica che ci disconnette da tanti cittadini. Vogliamo forse sostituirli con le masse elettorali guidate dalla destra di Alfano e dalle ali dorate di Verdini e Mazzoni?”, domanda retoricamente il senatore.