La sconfitta dei blues ai campionati d’Europa non ha permesso una piccola tregua al governo francese alle prese con una serie di attentati. E’ un problema importante da parte delle massime autorità dire ai francesi cosa fare per arginare questo odio mortale da parte dei propri giovani concittadini, figli dell’emigrazione. Non è facile avanzare sempre nuove ed efficaci proposte per arginare un fenomeno che ha avuto nella ripetitività e nella concentrazione temporale delle azioni verso la Francia, l’aspetto di novità rispetto ad altri atti terroristici.

La società francese si è mobilitata. Il dibattito politico e culturale sulle cause che hanno spinto giovani magrebini a compiere atti così feroci ha mobilitato giornali ed editori. Vi è stata una discussione accesa sul ruolo della religione nella società postmoderna, si sono analizzati i luoghi della radicalizzazione, le carceri soprattutto, si sono fatte analisi sui percorsi di vita di questi attentatori. Il governo ha dovuto imboccare la via delle misure di sicurezza per arginare il fenomeno. Dopo alcune sbavature iniziali della polizia francese e belga, resosi conto della gravità degli accadimenti, il capo dello stato, Hollande ha decretato lo stato di emergenza a seguito degli avvenimenti del 13 novembre scorso quando Parigi fu sottoposta ad un attacco terrorista concentrico.

Alcuni quartieri furono presi di mira, le Stade de France, il Bataclan con un consuntivo di 128 morti. A questo primo atto ha fatto seguito una nuova legge antiterrorista. Intanto è stato prolungato lo stato di emergenza e sono stati dati maggiori poteri alla polizia. Tutti però si rendono conto che le misure di polizia non saranno sufficienti, anche se è auspicabile che ci sia una migliore collaborazione tra le polizie mondiali per tentare di prevenire gli attentati che probabilmente aumenteranno nella misura in cui l’Isis perde terreno sul fronte militare. Tutto il resto, quello che va sotto il nome di de-radicalizzazione, ha bisogno di tempo e di sperimentazione per capire quale può essere la strada più idonea da imboccare.

La difficoltà risiede nella natura stessa di questi atti che esprimono un disagio generazionale. Ma non basta. La difficoltà sta anche nel fatto che non esiste un modello di radicalizzazione. La difficoltà consiste nella incapacità di accettare che la religione non c’entra anche quando appare il contrario. Nel frattempo, bisogna stabilire un accordo ferreo con le comunità musulmane di ogni paese perché esse possono aiutare e a volta prevenire atti di terrorismo. Tra le preoccupazione del governo francese vi è certamente quella di controllare il flusso di denaro che arriva dai paesi stranieri e che vanno alle varie comunità di immigrati.

Per questo il ministro degli interni francese, Bernard Cazeneuve ha annunciato la creazione di una fondazione, “Fondation des oeuvres de l’islam en France” (Foif) accompagnata da una associazione culturale, il cui scopo è quello di finanziare il culto musulmano in Francia. Le finalità sono ancora generiche e le difficoltà non mancano. Anzitutto questa fondazione non potrà occuparsi della costruzione delle moschee inoltre, secondo quanto scrive Le Monde del 3 agosto in Francia vi sono trecento imam salariati per metà dalla Turchia e gli altri dall’Algeria e dal Marocco e la fondazione per legge non potrà occuparsi di tale questione a meno che questo non avvenga via la creazione della associazione culturale.

Il 2 agosto il presidente Hollande ha annunciato che domanderà a Jean-Pierre Chevenement di guidare questa nuova istituzione che dovrebbe avere un fondo di 5 o 6 milioni di euro. Anche se ancora non sono chiari, come dicevamo, tutti gli obbiettivi di questa nuova istituzione, possiamo dire che a partire dal primo ministro Manuel Valls, a Hollande e altri politici, tutti sembrano dell’idea che bisogna mettere dell’ordine nei finanziamenti che stati esteri regolarmente inviano alle comunità musulmane del Paese. Una preoccupazione su cui potranno convergere altri Stati.

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