Le sue origini sono ancora in gran parte ignote e per questo gli scienziati proseguono senza sosta la ricerca sull’Alzheimer. Dopo la notizia di un farmaco promettente e la possibilità di “intuire” attraverso alcune spie l’insorgere della malattia arriva dall’Università di Cambridge l’ultimo studio su quella che è la più comune e dolorosa forma di demenza. Una ricerca importante perché aiuta a capire perché ci si ammala e come mai la patologia avanza sempre nello stesso modo. È stata tracciata nel cervello quella che può essere considerata la “firma genetica” dell’Alzheimer: una sorta di mappa delle aree neurali più ‘deboli’, meno protette dall’accumulo di proteine tossiche, che spiega perché la malattia inizia e si diffonde nel cervello sempre allo stesso modo. La ricerca, pubblicata su Science Advances, porta la firma dell’italiano Michele Vendruscolo e potrebbe permettere in futuro di capire se una persona è a rischio di ammalarsi e magari agire tempestivamente con farmaci preventivi.
Stando alle statistiche dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la malattia colpisce nel mondo quasi 48 milioni di persone, oltre 600mila solo in Italia. E il numero dei pazienti, in seguito all’invecchiamento della popolazione, è destinato ad aumentare. In base alle previsioni degli esperti dell’Adi, l’Alzheimer’s disease international, nel 2015 sono stati oltre 9,9 milioni i nuovi casi di demenza nel mondo, uno ogni 3,2 secondi. E, per l’Oms, nel 2050 il loro numero potrebbe superare i 130 milioni.
L’Alzheimer, spiega all’Ansa il ricercatore, progredisce sempre in modo molto caratteristico, ‘uccidendo’ tessuti cerebrali specifici e sempre nello stessa sequenza. Nessuno finora è stato in grado di spiegare, per esempio, perché la malattia parte sempre dalla ‘corteccia entorinale‘, per poi progredire ad altre aree specifiche. Vendruscolo ha studiato 500 campioni di tessuto cerebrale di individui giovani e sani e campioni di tessuto cerebrale di pazienti deceduti per Alzheimer. In questa maniera si è accorto che nel cervello sano e giovane (20-40 anni) si intravedono già delle ‘aree di vulnerabilità’ in cui funzionano poco i geni protettivi anti-Alzheimer. Si tratta cioè di geni deputati alle funzioni di eliminazione dalle proteine tau e beta-amiloide coinvolte nella malattia.
Insomma, spiega, “abbiamo trovato che in una persona giovane e ancora perfettamente sana, i tessuti che in tarda età verranno attaccati dall’Alzheimer presentano livelli di funzionamento ridotti dei geni protettivi anti-demenza. In altre parole l’Alzheimer attacca i tessuti in cui le difese contro l’aggregazione di beta-amiloide e tau sono meno efficienti”. La scoperta è importante, conclude, in pratica, “aiuta a capire perché ci ammaliamo di Alzheimer” e perché la malattia progredisce sempre allo stesso modo.