Il “piccolo incubo” di Federica Pellegrini – come lei stessa lo ha definito – si materializza quando tocca ad occhi chiusi nella corsia tre dell’Acquatics Stadium di Rio de Janeiro, sapendo di non aver nuotato come voleva, sperando di vedere comparire il suo nome sul display. Invece nulla. La “divina”, la portabandiera dell’Italia ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, è di nuovo fuori dal podio nella sua gara, i 200 stile libero. Per la seconda volta consecutiva dopo Londra 2012. Allora era stata quinta. Oggi è quarta, ma cambia niente perché la medaglia di legno vale meno di zero e quella di bronzo era davvero alla portata. Dietro alle due favorite Ledecky e Sjostrom, ma anche all’australiana McKeon che il podio olimpico fino a ieri probabilmente lo aveva solo sognato di notte. “Se ho subito la gara di testa? – si sfoga nervosa a fine gara – ho 28 anni se mi sento ancora dire che subisco la gara di testa tiro un cazzotto a tutti”.
La delusione è grande. Forse ancor più di quattro anni fa. Allora nessuno si aspettava di vedere la Pellegrini a bocca asciutta: fu un fulmine a ciel sereno, quasi un incidente di percorso inevitabile in una carriera fino a quel punto perfetta. Stavolta il quarto posto ha il sapore di fine di un’epoca, di sconfitta senza rimedio. Chissà se potrà esserci un’altra occasione: c’è ancora la staffetta 4×200, ma senza la miglior Federica sarà difficile anche solo entrare in finale. Mentre a Tokyo 2020 avrà 32 anni, non pochi per una nuotatrice. È stata lei stessa a dire più volte che Rio potrebbe essere la sua ultima volta. Doveva essere questa l’Olimpiade della storia. Per riscriverla un’altra volta non serviva neppure l’oro, oggettivamente fuori portata con questa Ledecky in vasca. Bastava un bronzo, modesto e prezioso, per diventare l’unica nuotatrice di tutti i tempi a salire sul podio dei 200 stile in tre edizioni diversi dei Giochi. Facendolo a distanza di 12 anni dalla prima volta (l’argento di Atene 2004, ancora minorenne), per condividere il primato con Michael Phelps. Mister Olympia – non a caso lo chiamano così – non ha mancato l’appuntamento con la storia, andandosi a prendere poco dopo un altro oro nei suoi 200 farfalla. Lei sì.
La differenza l’hanno fatta quei 18 centesimi di troppo che la separano dal bronzo di Emma McKeon. Federica ha nuotato in 1’55’’18: decisamente troppo per ambire a qualsiasi cosa. A metà gara era addirittura ultima: ha provato a rimontare nelle ultime due vasche, ma la distanza scavata era ormai ampia e comunque è mancata la gambata nel finale. Ha vinto l’americana Katie Ledecky, con il solito tempo mostruoso (1’53’’73, primato personale abbassato di oltre mezzo secondo, terza prestazione all-time). Argento alla svedese Sarah Sjostrom in 1’54’’08. Come previsto. Ma qui cominciano i rimpianti, perché né l’atleta arrivata terza (la giovane australiana Emma McKeon, titolata solo come staffettista), né il suo crono (1’54’’92) erano irraggiungibili per la Pellegrini. Che un mese e mezzo fa al Trofeo Settecolli aveva fatto 1’54’’5 in piena preparazione olimpica. A Rio, quando contava per davvero, non è riuscita a scendere sotto la barriera dell’1’55’’.
Tensione? Stanchezza? Cos’altro? Difficile rispondere. Lei è la prima ad essere delusa e perplessa. Dopo la gara ha parlato di “sensazioni strane in acqua”: “Ero morta, non ne avevo proprio più all’ultimo cinquanta”. Più o meno le stesse parole usate pochi minuti prima da Luca Dotto, fuori dalla finale dei 100 stile con un tempo altissimo. Sui nuotatori azzurri che arrivano in precaria condizione all’appuntamento più importante forse qualcuno dovrebbe riflettere in Federazione. Comunque non può essere un alibi. Certo non per la seconda volta. Da otto anni Federica Pellegrini non sale sul podio olimpico, e chissà se lo farà di nuovo in futuro. Da cinque (Mondiali di Shanghai 2011) non vince qualcosa di veramente importante. In bacheca ha comunque 2 medaglie olimpiche (fra cui l’indimenticabile oro di Pechino 2008), 13 mondiali e 29 europee, il primato nei 200 stile che resiste dal 2009. È una delle più grandi nuotatrici di sempre, ha fatto epoca. Ma la gara di ieri – con l’avvento definitivo di Katie Ledecky che potrebbe raccogliere la sua eredità, e presto anche il suo record del mondo – forse rappresenta la fine di un ciclo. La qualifica di olimpionica resta per sempre. Probabilmente, però, ormai appartiene al passato.