L’interesse comune è rompere i reciproci isolamenti. Recandosi in Russia, Erdogan rinuncia di fatto al sogno di guidare una potenza regionale, in cambio di un incerto futuro in Medio Oriente. Ma se Bruxelles concede la liberalizzazione dei visti lo scenario cambia di nuovo
Non credete agli strombazzanti lanci d’agenzia, a certi titoli allarmistici (oddio, Russia e Turchia alleate contro l’Europa, Mosca ed Ankara contro l’Occidente, la Nato nel mirino di Putin e di Erdogan, il risiko dei due leader sulla pelle della fragile Unione Europea…). E’ propaganda. Fanno babau per spaventarci. Ed incassare. Dubitate della sincerità di Putin e di Erdogan, della loro esibita fratellanza d’intenti. Sono capaci di dire oggi una cosa e rinnegarla domani, a seconda delle convenienze: durante il G20 del 17 novembre 2015, Putin accusò Erdogan (ed il Qatar) di “finanziare l’Isis”. Sette giorni dopo, un cacciabombardiere russo Sukhoi-24 di ritorno da una missione in Siria sconfina per venti secondi e 17 chilometri, il tempo di farsi abbattere da un jet turco. La Russia si vendicò applicando sanzioni e bloccando il flusso (vitale) dei suoi turisti in Turchia. Passano altri due mesi e il 27 gennaio la tensione tra i due Paesi sale alle stelle: la Russia, infatti, annuncia l’appoggio ai miliziani curdi dell’Ypg che invece Ankara considera terroristi.
Arriva l’estate, Erdogan se la piglia con l’Occidente per le virulenti critiche sull’ampiezza delle repressione post-colpo di Stato: “Gli occidentali hanno lasciato soli i Turchi”, afferma il 6 agosto nella sua prima intervista ai giornali stranieri, considera offensiva l’ingratitudine, ma come, proprio noi che abbiamo mandato il nostro primo ministro alla grande manifestazione di Parigi per Charlie Hebdo? A chi gli chiede ragione del ribaltone politico col ravvicinamento alla Russia, replica: “Risolvere il problema della Siria suppone la mobilitazione degli attori più importanti: Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti. Noi abbiamo sempre proposto di trovare una soluzione al conflitto e il più velocemente possibile. Solo, questa soluzione non può essere trovata fintanto che Bashar Al Assad resta al potere. Bisogna che se ne vada. Allora noi potremo accordarci su un nome accettabile da tutti e se delle elezioni saranno organizzate senza la sua partecipazione, una transizione sarà possibile…”.
L’intervista è lunga, articolata, interessante. Erdogan affronta la questione di Aleppo. Dovesse cadere nelle mani di Damasco, ciò creerebbe grossi problemi alla Turchia, dice. Perché ci sarà un enorme flusso di profughi “che faranno rotta verso il nostro Paese”. Riassumo: “Noi non abbiamo mai detto che le nostre porte saranno chiuse. Li accoglieremo. Il nostro approccio è diverso da quello degli europei. Sinora, gli aiuti per i profughi ci sono costati 11,7 miliardi di euro, senza contare i fondi delle Ong”. Dove sono i soldi promessi? Erdogan minaccia di rompere gli accordi sui migranti siglati con l’Ue, nega di essere lui a voler rompere con Bruxelles, “ semmai sono i membri dell’Ue che devono correggere le loro relazioni con l’Ue. Sono 53 anni che siamo alle porte dell’Europa. L’Ue è la sola responsabile e colpevole. Nessun altro, tranne la Turchia, è stata tratta in questo modo…”.
Dichiarazioni che fanno assai comodo a Putin, in un momento di crisi europea – Brexit, il terrorismo, il populismo incalzante, i migranti – con gli Stati Uniti alla vigilia delle presidenziali più incerte del secolo. Le sanzioni per Ucraina e Crimea pesano sempre di più. Il Cremlino foraggia i movimenti anti-Eu che spingono perché le sanzioni economiche vengano tolte. Il vuoto di potere Usa gli offre maggiori spazi d’iniziativa. In questo quadro, s’inserisce il ristabilimento delle relazioni diplomatiche ed economiche con la Turchia – in “gelo” con Washington – che prelude ad un possibile rovesciamento strategico. Ma questa “attrazione fatale” tra Mosca ed Ankara quanto durerà? Putin è prudente ed accorto. Sa che questo ritorno alla normalizzazione – i due si sono frequentati per molti anni, complice anche Silvio Berlusconi – può dipendere da fattori non sempre stabili. La Turchia è storico alleato chiave della Nato, la stessa Nato che si è schierata a ridosso del confine coi Paesi baltici. Difficile che Washington possa mollare la presa sulle basi turche. Tant’è che proprio ieri il presidente russo ha chiesto alla Duma, il parlamento, di approvare l’accordo con Damasco per disporre sempre ed a costo zero della base navale di Khmeimim, visto che Ankara garantisce tranquilli passaggi delle flotte russe dal Mar Nero al Mediterraneo.
L’abbraccio tra lo Zar e il Sultano ha comunque un costo. La Russia è il secondo partner commerciale della Turchia. La crisi tra i due Paesi è costata circa una decina di miliardi di dollari. Cosa può dare Mosca ad Ankara? Intanto, forniture di gas. Poi, sviluppare la rete commerciale dell’Eurasia, vecchio pallino di Putin. Per esempio, il corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud (7200 chilometri, per collegare Iran, Paesi del Golfo, Russia ed Europa settentrionale, in un secondo tempo a est l’India e a ovest l’Europa occidentale), affiancato da un corridoio energetico, ossia un gasdotto che va dalla Russia, passa per l’Azerbaigian e arriva in l’Iran. Con la variante del Turkish Stream, progetto osteggiato da Ankara sino a un paio di giorni fa. In realtà, lo scopo è indurre l’Ue a dare il via libera al Nord Stream 2, che per Mosca è molto più importante… E’ un gioco complicato, quello che Putin ed Erdogan stanno disputando. Ognuno cerca di ottenere vantaggi rispetto all’altro. La convergenza geopolitica è precaria: se Bruxelles paga e cede sulla questione dei visti, così come sulla ripresa delle trattative per entrare nell’Ue, allora lo scenario muta di nuovo.
Per il momento, il Sultano sfida l’Europa (con lo spauracchio della pena di morte, “se il popolo la vorrà e se il parlamento la voterà”). Un ricatto. Come quello delle basi militari. Una, in particolare (Incirlik, dove ci sono una cinquantina di testate nucleari Usa e da dove partono i raid per la Siria), viene chiusa e riaperta a seconda degli umori di Erdogan… Insieme, Zar e Sultano hanno capito che possono limitare le loro criticità esterne. E che riavviando intensi scambi commerciali (la Turchia è il quinto partner della Russia) possono stabilizzare, come sostiene il saggista Jean-François Colosimo, “le loro difficoltà interne”. Ma, a ben decifrare il summit di San Pietroburgo tra lo Zar e il Sultano – “l’unione dei traditi dall’Occidente”, è il titolo dell’agenzia InnoPressa che fa la rassegna stampa dei giornali stranieri per il mercato russo – scopriamo che forse non tutto quello che luccica è oro zecchino. E che tra i due, c’è un vincente e un perdente.
Con malizia, il presidente russo ha ricevuto il collega turco… nella Sala Greca del Palazzo Costantino. Anche nel modo di parlare, c’è stata qualche significativa differenza. Erdogan continuava a rivolgersi al presidente russo dicendo sempre “caro amico”, Vladimir Putin replicava con un più distaccato “ospite”. Come a mantenere certe distanze. E ricordare a Erdogan che era come se fosse venuto a Canossa. Perché è lui ad avere più bisogno di questa alleanza. L’interesse comune è rompere i reciproci isolamenti. Recandosi da Putin, Erdogan rinuncia di fatto al sogno di guidare una potenza regionale, in cambio di un incerto futuro in Medio Oriente. La strategia offensiva di Mosca in Siria ha avuto efficacia laddove Ankara ha fallito. Lo scopo di Putin è neutralizzare l’ancestrale rivale turco. Guadagnando l’accesso al Mediterraneo, preservando le vie del Caucaso per le rotte terrestri dell’energia, mantenendo il ruolo guida nell’Asia Centrale per i vitali legami con l’Iran, l’India e la Cina. Nulla di buono, per il Sultano.