La liberazione di Sirte dai gruppi affiliati all’Isis è quasi completata. Lo ha annunciato all’Associated Press il sindaco della città, Mokhtar Khalifa, secondo cui le forze libiche sostenute dagli Stati Uniti “hanno liberato il 70%” della città costiera considerata la roccaforte del Califfato in Nord Africa. Il primo cittadino sostiene che i quartieri meridionali e occidentali sono sotto il controllo dei combattenti fedeli al governo sostenuto dalle Nazioni Unite: fonti militari hanno fatto sapere che gli ultimi due quartieri a cadere sono stati quelli di Salas e Uagaduko. “Il sostegno internazionale ha fatto una enorme differenza” nella lotta contro l’Isis a Sirte, iniziata mesi fa, ha detto ancora Khalifa. Dal primo agosto, aerei da guerra americani hanno condotto una serie di attacchi sugli obiettivi dei jihadisti nella città libica, dopo quelli messi a segno alla fine del 2015 e nel febbraio 2016. “La liberazione totale della città è molto vicina”, ha dichiarato il capo del governo di unità nazionale libico, Fayez Al Sarraj.
Il bilancio degli scontri mercoledì è di “almeno 16 morti fra le fila dei miliziani”. Lo rende noto la pagina Facebook delle forze impegnate in città per cacciare l’Isis, Al Bunyan Al Marsous. Si ignora il numero dei jihadisti uccisi. Nelle fotografie pubblicate si vedono i miliziani in tuta mimetica che festeggiano a bordo di un tank, con le braccia alzate facendo il segno di vittoria, la presa del complesso di Ouagadougou, quartiere generale dello Stato islamico. Il portavoce delle operazioni, il generale Mohamed Al Ghasri, si è detto certo che “Sirte sarà liberata in due giorni, dopo avere ripulito la città dalle bombe, dagli ordigni e dalle mine lasciati dai jihadisti”.
Sempre mercoledì un documento elaborato dal redatto dal Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali e trasmesso al Copasir dissipava anche gli ultimi dubbi sul fatto che le nostre forze speciali – oltre a quelle statunitensi, britanniche e francesi – siano in Libia al fianco delle forze fedeli al governo Al Sarraj, circostanza riportata il 30 luglio dal Fatto Quotidiano.
Paolo Gentiloni continua a negare: “Se avessimo missioni militari in Libia dovrebbero essere, e saranno, autorizzate dal Parlamento”, ha detto il ministro degli Esteri in una intervista al Corriere della Sera. “Presto l’Italia potrebbe riaprire la sua ambasciata a Tripoli, chiusa nel febbraio 2015. Il nostro governo ha nominato ambasciatore Giuseppe Perrone”, spiega ancora il capo della diplomazia italiana sottolineando che “il nostro impegno non deve stupire: contribuire a stabilizzare la Libia è una priorità nazionale, dalla sicurezza all’immigrazione”. Gentiloni fornisce anche più dettagli sul ruolo dell’Italia nel Paese un tempo dominato da Muammar Gheddafi.
“Sul piano militare stiamo fornendo alle operazioni antiterrorismo un sostegno logistico. Se ci saranno richieste ulteriori attività di addestramento della guardia presidenziale e di sostegno alla guardia costiera le valuteremo. Sarraj ci ha fatto avere la lettera della quale avevamo parlato giorni fa, quando mi aveva chiesto una presenza della nostra Sanità militare”, sottolinea il titolare della Farnesina concludendo che “non si sta parlando di invio di truppe, ma di operazioni umanitarie. Quanto all’iniziale interesse manifestato dal governo libico per una protezione e valorizzazione dei beni culturali vedremo di che cosa si tratta”.