“Voi non avete ancora capito con chi state parlando, io sono l’onorevole Trombetta!“.
“Chi siete voi?”.
“L’onorevole Trombetta“.
“L’onorevole?”.
“Trombetta”.
“Ma mi faccia il piacere!“.
Correva l’anno 1952 e l’indimenticabile scena di Totò a Colori s’incideva nella memoria di spettatori di tutte le età. Dalla fine della guerra erano trascorsi sette anni, sei dal referendum Repubblica-Monarchia, appena quattro dal varo della nuova Costituzione e gli italiani imparavano già a sdoganare la pernacchia per i tanti “onorevoli Trombetta” dello Stivale. A quasi 65 anni dall’indimenticabile scena di Totò il complesso del “lei-non-sa-chi-sono-io” continua a sopravvivere. Basta dare un’occhiata alle sedute streaming del consiglio comunale di Roma – pardon – dell’Assemblea capitolina, per rendersene conto.
La sindaca Virginia Raggi? Per i sottopancia del video e per tutti gli altri consiglieri è “l’onorevole Raggi“. La capogruppo del Pd Michela De Biase? Diventa “l’onorevole De Biase” sia per la grafica dello streaming che per gli altri colleghi. Chi osserva è colto da un dubbio immediato: sarà un errore? Un surplus non richiesto di reverenza ad opera di uno zelantissimo funzionario addetto allo streaming (ammesso che esista tale carica)? Possibile che i semplici consiglieri comunali romani si riconoscano il titolo di niente-poco-di-meno-che “onorevoli”? Possibile, anzi è proprio così. Ma andiamo con ordine.
A dire il vero, l’uso del termine “onorevole” per rivolgersi ad un eletto non è mai stato istituito formalmente neanche per i deputati e senatori, ma fu introdotto, quasi per caso, addirittura nel 1848 nell’allora Camera subalpina. Colpa del deputato Tola, che, in una lettera spedita ai colleghi, ebbe la cattivissima idea di cominciare con un fatidico: “Onorevoli deputati”. Un termine che piacque parecchio all’allora ministro della Giustizia Federico Sclopis, che lo riutilizzò pochi giorni dopo in Aula. Da lì in poi rivolgersi con “onorevole” ad ogni eletto (anzi più nominato, le elezioni col suffragio universale sarebbero arrivate un secolo dopo) in Parlamento divenne un’irrinunciabile prassi, immediatamente ereditata dal Parlamento del Regno d’Italia e accantonata soltanto per qualche anno dal Partito Fascista (che nel 1939 sostituì il titolo di “onorevole” con quello di “consigliere nazionale“).
Poi, con la fine della guerra e la nascita della Repubblica, ecco che i titolari dell’onorevole qualifica si sono sdoppiati: onorevoli deputati – ma anche solo onorevoli – per gli eletti alla Camera e onorevoli senatori – ma anche solo senatori – per chi siede a Palazzo Madama. Un titolo che sarà utilizzato praticamente in perpetuo da chi è riuscito a fregiarsene anche solo per una volta, e che forse proprio per questo incarnerà presto il simbolo dell’Italia del “lei-non-sa-chi-sono-io“. Ecco quindi che in pochissimo tempo altri “eletti” arrivano a battere cassa per vedersi riconoscere quelle due lettere e un punto – On. – davanti al cognome. Primi tra tutti – neanche a dirlo – i consiglieri regionali siciliani, divenuti deputati in quanto componenti di un’Assemblea parlamentare, e quindi onorevoli per immediata estensione.
Quindi è stata la volta dei consiglieri comunali della Capitale: potevano gli eredi diretti degli “eletti” del popolo romano, di Gracco e di Silla, che tengono le loro assemblee in una sala intitolata addirittura a Giulio Cesare all’interno dell’antico palazzo Senatorio, rinunciare a cotanto titolo? No, non potevano. E infatti hanno iniziato ad usarlo. E lo mantengono ancora adesso che la maggioranza dell’Assemblea capitolina è appannaggio del Movimento 5 Stelle. Cioè lo stesso partito che da anni propone di abolire il titolo simbolo della casta per sostituirlo con un più francescano “portavoce“. E infatti nel 2015, entrati in Parlamento, i pentastellati hanno depositato un disegno di legge per cancellare con un rapido tratto di penna il titolo di onorevole dalla carta intestata di un migliaio di deputati e senatori. Ma i grillini hanno fatto anche di più, chiedendo addirittura di multare chiunque continui a pronunciare imperterrito quell’indicibile emblema del potere. Ammontare della contravvenzione? Una cifra tra i 600 e i 6mila euro: ohibobo, direbbe sempre Totò.
E in attesa di capire che fine abbia fatto quella proposta parlamentare, non sarebbe forse il caso che i 5 Stelle cominciassero ad abolire l’uso del titolo di onorevole nell’aula dell’Assemblea capitolina, oggi presieduta dal pentastellato Marcello De Vito? A Virginia Raggi e alla sua giunta occorrerà certamente del tempo per provare a ripulire la città Eterna dai rifiuti e dalle scorie di Mafia capitale. Molto meno impegno richiederebbe invece sottrarre ai consiglieri comunali romani quel titolo tanto ingombrante da suonare quasi ridicolo. E chissà che il tanto annunciato cambiamento – di una città ma anche di un’intera nazione – non cominci proprio cancellando lo spettro dei tanti onorevoli Trombetta che infestano da decenni il Paese. Senza che più nessuno abbia il coraggio di dirgli: ma mi faccia il piacere!