La denuncia del numero uno di Riscossione Sicilia: "Finora piattaforme e insediamenti industriali come il Petrolchimico di Gela sono stati esentati dal pagamento per l'uso dei beni che fanno parte del demanio dello Stato". Ma, secondo Fiumefreddo, una sentenza della Cassazione sancisce che la regione ha diritto di battere cassa
Almeno 60 milioni di euro. Una cifra che potrebbe addirittura triplicare. È il conto che la Regione Siciliana sta presentando agli stabilimenti petrolchimici che si affacciano sul demanio marittimo dell’isola. Il motivo? “Non hanno mai pagato il canone demaniale: per la verità nessuno glielo ha mai chiesto”, dice Antonio Fiumefreddo, l’uomo piazzato dal governatore Rosario Crocetta al vertice di Riscossione Sicilia, la società che sull’isola assolve i compiti svolti altrove da Equitalia.
“Quello che abbiamo scoperto è clamoroso – spiega a ilfattoquotidiano.it Fiumefreddo – Almeno dal 2006 nessuno ha mai chiesto ai gestori di piattaforme petrolifere di pagare il canone demaniale. Si tratta di almeno 60 milioni di euro per il demanio di terra, ma la cifra può crescere fino a superare i cento milioni per le piattaforme in acqua. Senza considerare tutti crediti prescritti, con danno enorme per le casse della Regione: è per questo che adesso stiamo allertando le procure della Repubblica competenti”.
In pratica, secondo l’amministratore di Riscossione Sicilia i petrolchimici devono pagare la tassa di concessione imposta a chi utilizza i beni del demanio dello Stato. Più o meno come avviene per i lidi balneari. “Un lido paga una tassa alla Regione sia per le sdraio che piazza sulla spiaggia sia per eventuali zattere e giochi d’acqua che fissa in mare: una tassa che deve essere pagata anche dalle piattaforme”, continua Fiumefreddo, che il 29 luglio scorso ha preso carta e penna per scrivere al direttore generale e ai dirigenti di Riscossione Sicilia: “Con riferimento agli insediamenti industriali, l’accesso presso il Petrolchimico di Gela ha fatto emergere una situazione particolarmente grave e cioè la posizione di sostanziale e di fatto di esenzione contra legem delle piattaforme petrolifere”.
Due giorni prima, infatti, due ispettori di Riscossione Sicilia si erano materializzati alle porte del petrolchimico dell’Eni in provincia di Caltanissetta. “Parrebbe – scrive Fiumefreddo 48 ore dopo – che alle piattaforme non sia richiesto alcun pagamento del canone demaniale, da non confondersi con le somme versate dal titolare della struttura al momento della concessione quale una tantum. Non è chi non veda il danno economico enorme arrecato alle casse della Regione da una tale improvvida quanto incomprensibile pratica, senza tacere di omissioni eventualmente consumatesi. Accade, quindi, che chi intendesse stendere un pontile dovrà versare correttamente i canoni demaniali mentre la grande industria che installa la piattaforma petrolifera sarebbe stata esentata“.
Per l’amministratore di Riscossione Sicilia il diritto di battere cassa nei confronti dei petrolieri sarebbe sancito dalla sentenza 3618/2016 della Corte di Cassazione. “A chiarimento di qualsivoglia dubbio – scrive Fiumefreddo – è intervenuta sulla materia la Suprema Corte di Cassazione, che così ha posto fine ad una diatriba in corso da anni, affermando che le piattaforme petrolifere sono soggette ad accatastamento e quindi assoggettabili ad Ici, e conseguentemente, anche ad Imu e Tasi nonché al pagamento dei canoni demaniali. Secondo la corte – continua l’amministratore – anche se il mare non è ricompreso tra i beni del demanio marittimo, che concernono solo il lido, la spiaggia e le terre emerse, tuttavia i beni infissi nel fondo del mare territoriale sono equiparabili a quelli del demanio marittimo”. Nel mirino di Riscossione Sicilia, dunque, oltre alle concessioni sul litorale – come appunto il petrolchimico di Gela, ma anche quello di Termini Imerese, Milazzo e Augusta – sono finite anche le 7 piattaforme al largo della stessa Gela, della provincia di Agrigento e di quella di Ragusa.
Per la verità, però, la sentenza della Cassazione citata da Fiumefreddo non ha scritto l’ultima parola sulla questione, nonostante sia stata emanata soltanto nel febbraio del 2016. A giugno infatti il dipartimento delle Finanze ha nuovamente cambiato rotta con la risoluzione 3/DF/2016, sostenendo che per le piattaforme di trivellazione le compagnie non devono pagare Imu e Tasi. Una decisione che segna il futuro di una serie di contenziosi: come quello di Pineto, in provincia di Teramo, dove da 17 anni è in corso una battaglia a colpi di carta bollata con l’Eni. O come quello di Pozzallo, dove nell’estate del 2015 la Guardia di finanza ha presentato a Edison e allo stesso Cane a sei zampe un verbale da 30 milioni di euro a causa del mancato versamento dell’imposta sugli immobili per il Campo Vega, la più grande piattaforma petrolifera in Italia.
Il 18 luglio scorso, poi, si è registrata la giravolta del viceministro dell’Economia Enrico Zanetti, che ha dato parere favorevole alla risoluzione presentata dal pentastellato Ferdinando Alberti in commissione Attività produttive in base alla quale le trivelle devono essere assoggettate all’imposta locale sugli immobili. Se l’orientamento dovesse essere recepito, dunque le piattaforme petrolifere dovranno pagare l’Imu, così come stabilito dalla sentenza della Cassazione citata da Fiumefreddo. Che intanto è andato a chiedere ai cercatori d’oro (nero) il pagamento dei canoni demaniali.