Hillary Clinton ha scelto Warren, un sobborgo di Detroit, per definire la sua proposta economica all’America. La scelta di questa città del Michigan non è casuale. Proprio a Detroit, la settimana scorsa, Donald Trump ha annunciato le sue proposte per l’economia. E qui, in questa parte d’America travolta dalla ristrutturazione industriale e dalla perdita di posti di lavoro, Clinton ha offerto una visione che si rivolge soprattutto alla middle-class impoverita e che è fatta soprattutto di investimenti nelle infrastrutture per creare posti di lavoro e facilitazioni fiscali per la classe media.
E’ stata proprio la questione fiscale quella su cui Clinton ha insistito di più nel suo discorso – e quella su cui ha attaccato con maggiore forza Trump. Clinton ha definito la proposta fiscale del suo avversario come un “massiccio sistema di evasione trumpiana”, fatta di tagli alle tasse per i più ricchi che “impoverirà la classe media”. Il sistema fiscale di Trump, ha spiegato Clinton “farebbe esplodere il debito nazionale e condurrebbe a massicci tagli a priorità come la sanità, l’educazione e la protezione ambientale”. Con quel sistema, “Trump, i suoi amici, la sua famiglia” pagherebbero una percentuale di imposte più bassa rispetto alle famiglie della middle-class: “Attraverso il sistema di loophole, di scappatoie di Trump, i 400 contribuenti più ricchi d’America godrebbero di tagli alle tasse per 15 milioni all’anno”, ha spiegato Clinton. L’eliminazione della tassa di successione, altra proposta di Trump, “farebbe risparmiare alla famiglia Trump 4 miliardi di dollari. Non ci sarebbe però alcun vantaggio per il restante 99,8 per cento degli americani”. Parlando di tasse, e annunciando un sistema di razionalizzazione e semplificazione per piccole imprese e classe media, Clinton non ha mancato di ricordare come Trump “rifiuti di fare quello che qualsiasi altro candidato alla presidenza ha fatto negli ultimi decenni: rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi”.
Una parte importante del discorso di Warren è stata dedicata agli investimenti nelle infrastrutture, che dovrebbero portare al più largo impiego di forza-lavoro dalla Seconda guerra mondiale in avanti. Già nelle scorse settimane Clinton ha più volte parlato di “investimenti per 275 miliardi di dollari” (una questione all’ordine del giorno dopo che l’“American Society of Civil Engineers” ha spiegato che, per intervenire sull’obsoleto sistema di ponti, strade, porti e aeroporti, gli Stati Uniti devono investire 3,6 trillioni di dollari entro il 2020). A Warren la candidata democratica ha spiegato di voler “mettere gli americani al lavoro nella costruzione e modernizzazione delle nostre strade, dei nostri ponti e tunnel, delle nostre ferrovie, dei porti e degli aeroporti”. Dopo aver fatto notare che gli Stati Uniti ancora vivono sugli investimenti nelle infrastrutture fatti “dalle generazioni dei nostri nonni e genitori”, Clinton ha affrontato il capitolo delle rinnovabili: “Ci sarà una superpotenza quanto a energia pulita nel 21esimo secolo; un Paese che sarà capace attraverso l’energia pulita di creare milioni di nuovi lavori e imprese. Voglio che quel Paese siano gli Stati Uniti”.
Molto atteso era anche il capitolo dedicato al commercio internazionale. E’ quello su cui Trump ha più attaccato Clinton nei mesi scorsi – e quello su cui la candidata ha più difficoltà a farsi considerare credibile da larghi settori della working-class bianca del Michigan e di altri Stati della Rust Belt. Nel passato Clinton ha infatti appoggiato il North American Free Trade Agreement (NAFTA, che suo marito Bill da presidente ha convertito in legge) e da segretario di stato ha sostenuto anche la Trans Pacific Partnership. Da candidata alla presidenza, Clinton ora prende le distanze dalle passate aperture in tema di libero commercio (ciò che la rende ovviamente meno credibile). In Michigan, la candidata democratica ha spiegato che “da presidente, affronterò la Cina e qualsiasi altro Paese che vorrà approfittare dei lavoratori e delle imprese americane e rafforzerò il sistema di controlli nominando un chief trade prosecutor”. Anche qui, non è mancata una stoccata a Trump, che in questa campagna si è proposto come il difensore dei lavoratori americani nei confronti di trattati commerciali internazionali troppo onerosi: “Mr. Trump può giocarsi molto sul commercio, ma il suo approccio è basato sulla paura, non sulla forza”.
Nel complesso, il discorso di Warren è stato per Hillary Clinton un’occasione per ribadire soprattutto due cose. Da un lato, quella di essere la vera rappresentante di quell’America di piccola e media borghesia impoverita da anni di recessione. “La mia missione alla Casa Bianca sarà quella di far funzionare l’economia per ognuno di noi, non soltanto per i più ricchi”. Clinton ha ricordato che “si tratta di qualcosa di molto personale per me, essendo io un prodotto di quella middle class americana. Mio nonno lavorava in un’industria che produceva lacci a Scranton, Pennsylvania”. L’enfasi sulle sue origini serve peraltro alla candidata democratica per superare dubbi e sospetti sui legami suoi e della Clinton Foundation con il mondo dell’alta finanza e con vari poteri forti mondiali (le ultime mail rese pubbliche dal Dipartimento di Stato mostrano che il team di Clinton, quando questa era segretario di stato, ricevette proprio dalla Clinton Foundation la richiesta di dare udienza a un miliardario libanese-nigeriano, Gilbert Chagoury). Che questo – quello dei legami con i gruppi poteri forti dell’economia e della politica – resti un punto debole per Clinton lo dimostra anche la lettera che una serie di gruppi tra cui MoveOn e Public Citizen hanno inviato proprio a Clinton, per chiedere dettagli sul transition team che la candidata porterà alla Casa Bianca in caso di vittoria a novembre.
Il discorso di Warren è però servito a Clinton soprattutto per dipingere il suo rivale come un miliardario senza scrupoli che ripropone l’ennesima versione, ancora più radicale, di un’economia “del trickle-down” che ha già impoverito la nazione e favorito soltanto i ceti più ricchi. “Esiste un mito per cui Trump è in qualche modo dalla parte degli indifesi – ha detto Clinton -. Non credetegli. Non quando dice di impegnarsi per cancellare le regole base per considerare le corporations responsabili delle loro azioni; non quando dice di voler fare a pezzi le regole che impediscono alle imprese di inquinare l’aria e l’acqua. Trump vuole persino abolire il Consumer Financial Protection Bureau, un’agenzia che ha già ridato 11 miliardi di dollari a 25 milioni di americani che erano stati imbrogliati dalle corporations”. Del resto, proprio su questa “doppiezza” di Donald Trump, Clinton ha insistito molto negli ultimi giorni. Durante una visita a un negozio di t-shirt di Des Moines, Clinton ha detto: “Questo è uno dei maggiori motivi di discordia che ho con Donald Trump: lui non produce le sue cravatte, abiti e mobili negli Stati Uniti”.