Lavoro & Precari

Disoccupazione, nonostante incentivi e Jobs Act dal 2014 a oggi il divario tra l’Italia e gli altri Paesi Ue si è allargato

Prima dell'insediamento del governo Renzi il tasso dei senza lavoro nella Penisola era al 12,9%: lo 0,9% in più rispetto all'Eurozona e il 2,1% in più in confronto con la media Ue. A giugno 2016 la percentuale è scesa all'1,6%, ma gli altri Stati hanno fatto meglio. Così la distanza si è allargata arrivando a 1,5 punti percentuali rispetto agli altri Paesi con l'euro e a 3 punti rispetto al valore medio registrato nei 28 Stati Ue

Non c’è riforma e incentivo che tenga. Tra il 2014, quando si è insediato il governo Renzi, e oggi, il tasso di disoccupazione italiano è sì diminuito, ma meno che nel resto della Ue e dell’Eurozona. Con il risultato che il divario rispetto alla media dei Paesi del vecchio continente si è allargato anziché restringersi. Questo nonostante gli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato introdotti nel gennaio 2015 e il Jobs Act in vigore dal marzo dello scorso anno. Basta uno sguardo ai dati Eurostat, messi in fila venerdì da Franco Bechis su Libero.

Stando agli ultimi dati sui senza lavoro pubblicati dall’istituto di statistica europeo, relativi a giugno 2016, in Italia il tasso è pari all’11,6%: l‘1,5% in più rispetto alla media dei Paesi che hanno adottato l’euro e il 3% in più rispetto ai 28 Stati membri della Ue.

A gennaio 2014 il tasso di disoccupazione italiano si attestava al 12,9%, in rialzo di 0,2 punti su dicembre 2013. Ma nell’Eurozona era al 12% e nella Ue al 10,8%. Il gap era dunque, rispettivamente, dello 0,9 e del 2,1%: meno dei livelli attuali. E dire che quei dati furono resi noti il 28 febbraio 2014, sei giorni dopo l’insediamento di Renzi, che per l’occasione si affrettò a twittare: “Cifra allucinante, la più alta da 35 anni. Ecco perché il primo provvedimento sarà il JobsAct #lavoltabuona“.

La riforma del mercato del lavoro, con tanto di abolizione delle tutele dell’articolo 18 per i nuovi assunti, è nel frattempo stata varata. Ma la distanza dagli altri Paesi europei è aumentata di 0,9 punti percentuali e quella dalla media Ue di 0,6 punti. Una performance che sembra avvalorare le conclusioni di uno studio diffuso dalla Bce la settimana scorsa: la bassa qualità delle istituzioni italiane – definizione che comprende fattori come il rispetto delle leggi e la lotta alla corruzione – rende vani gli sforzi di cambiamento concentrati su singoli aspetti della vita economica e politica del Paese.