Toscano, 21 anni, Rossetti è figlio d’arte e grazie a questa finale ha già migliorato il padre Bruno che a Barcellona 1992, quando lui non era ancora nato, vinse la medaglia di bronzo sempre nel tiro a volo
Gabriele Rossetti: ovvero la perfezione nello sport, a 21 anni. Oro nello skeet maschile ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, senza sbagliare un colpo. L’ennesimo trionfo per il tiro a volo italiano, che sta letteralmente sbancando alle Olimpiadi in Brasile: dopo gli argenti di Giovanni Pellielo e Marco Innocenti, dopo la storica doppietta nello skeet femminile firmata da Diana Bacosi e Chiara Cainero, arriva un’altra vittoria nella stessa specialità.
Nessuno ai Giochi tira come gli italiani. E nessuno tira come Gabriele Rossetti. Giovanissimo, 21 anni, e già campione, in una disciplina longeva se ce n’è una: in finale ha battuto tiratori che avrebbero potuto essere suo padre, come il kuwaitiano Al-Rashidi, 52 anni, bronzo alla fine. La classe non ha età, si sa. Ma lui ha dimostrato di possedere già anche l’esperienza e la freddezza dei veterani. Quella dei vari Giovanni Pellielo, Ennio Falco, Andrea Benelli, tutti grandi olimpionici del passato o del presente. O di suo papà Bruno, bronzo ai Giochi di Barcellona ’92. Gabriele, all’esordio olimpico, ha appena cominciato e ha già fatto meglio. Ma del resto è quello che gli addetti ai lavori chiamano un “predestinato”. Spara nello skeet da quando aveva 7 anni: facile, quando sei figlio d’arte. Molto meno facile diventare un campione, superare il maestro che in questo caso è anche un padre famoso. Nel 2014 aveva vinto i Mondiali juniores di Granada, e conquistato l’oro europeo. A Rio era una delle tante carte azzurre da giocare, ma in pochi si aspettavano che potesse fare centro già al primo appuntamento.
La sua Olimpiade non era neanche cominciata benissimo. Qualche errore di troppo nelle prime serie, solo 13° dopo la prima giornata di eliminatorie, piazzamento che rendeva difficile l’ingresso in finale. Poi la rimonta, lo spareggio acciuffato per i capelli all’ultimo colpo, un po’ per bravura propria un po’ per demerito altrui. La qualificazione allo shoot-out, facendo fuori i francesi Delaunay e Terras (curiosamente allenati proprio da suo padre, intanto diventato ct della nazionale transalpina) e l’indiano Khan. Poi l’ultimo atto, dove è stato semplicemente perfetto: 16/16 in semifinale, 16/16 anche nella sfida per l’oro. Senza un errore, un’esitazione per la giovane età o la troppa pressione. Diventata insostenibile, invece, per il suo avversario Marcus Svensson, svedese neanche troppo titolato, che si è ritrovato un po’ per caso all’appuntamento della vita, e quando ha sentito di non poter più sbagliare ha puntualmente sbagliato.
Non è un caso, invece, il trionfo di Gabriele Rossetti: al massimo, un po’ anticipato rispetto alle previsioni. Lui è solo l’ultimo prodotto di una grande scuola che si rinnova di Olimpiade in Olimpiade, di generazione in generazione. E che ai Giochi di Rio de Janeiro 2016 ha toccato il suo punto più alto: cinque podi e due ori nel tiro a volo, a cui bisogna aggiungere il bis del bi-olimpionico Niccolò Campriani nel tiro a segno (che ha ancora un’altra gara davanti a sé, in cui difende il titolo di Londra 2012; potrebbe non essere finita). Primi nel medagliere di specialità, davanti alla Germania, agli Stati Uniti, ai colossi asiatici. Davanti a tutti. E avanti anche nella classifica generale, con il quinto preziosissimo oro. Senza i successi dei tiratori azzurri, la spedizione in Brasile del Coni sarebbe stata un fallimento totale: fin qui il tiro vale più del 50% dell’intero medagliere azzurro. Ma i tiratori azzurri ci sono. E per fortuna dell’Italia continuano a far centro.
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