Leggi la prima parte dell’articolo qui
Non tutte le crisi di liquidità sono uguali. Il duo Bernanke-Paulson sbagliò bersaglio. Quella manovra aiutò i cittadini (che non ne avevano bisogno, dato che spendevano già troppo a causa dei fidi facili di banche e carte di credito) e non aiutò abbastanza le banche, che invece a causa dei ripetuti crolli di borsa vedevano il valore del loro portafoglio titoli assottigliarsi ogni giorno di più fino a erodere completamente la loro capitalizzazione (portando quindi diverse banche, tra cui la Lehman Brothers, al fallimento). Si dovette aspettare fino ad aprile 2009 con la modifica della regola del mark to market per vedere un effettivo recupero della liquidità nelle banche.
Si tratta però dello stesso errore, ma al contrario, che ora commette Mario Draghi (presidente della Bce), che, invece, con le politiche di quantitative easing continua ad aiutare Stati e banche quando è chiaro come il sole che sono invece i cittadini e le piccole-medie imprese ad avere impellente bisogno di sostegno finanziario. Vero che Draghi, in assenza di un governo centrale che governi le politiche finanziarie, ha le mani legate, ma occorre che qualcuno queste cose le dica, come fanno i grandi economisti americani, discutendone apertamente in pubblico e non solo nelle ovattate sale delle banche centrali o di esclusivi convegni rigorosamente riservati, come avviene in Europa.
Ecco quindi che torna a galla con forza l’idea teorica di Friedman che potrebbe consentire all’Europa di trovare una via d’uscita da una situazione che è già incubo non solo per Draghi. La Bce, in accordo con il Tesoro Centrale (attualmente inesistente) potrebbe stampare denaro, creando inflazione, senza aumentare l’indebitamento degli Stati. Naturalmente sarebbe necessario pilotare la manovra per far arrivare il denaro nelle mani giuste di chi lo spenderà immediatamente per acquistare beni di consumo e non per pagare debiti pregressi o altro che non avrebbe l’incidenza desiderata sul mercato interno. In questo modo la manovra produrrebbe immediatamente inflazione risolvendo il problema di Draghi e dell’Europa intera. Vero che il costo del debito aumenterebbe, ma questo si potrebbe risolvere intervenendo sulla durata dei prestiti, cosa abbastanza agevole per le banche centrali, che possono anche fermare eventuali eccessi inflazionistici semplicemente aumentando i tassi.
Occorre però muoversi in fretta perché la situazione economica globale e già oggi mortificata da operazioni bancarie a tasso zero o negativo e sta scivolando rapidamente in una situazione di deflazione cronica. Il mercato del risparmio (soprattutto i titoli di Stato) ne soffre già in modo estremamente pericoloso. Le grandi economie ormai si finanziano con operazioni di bond a 50 anni a tassi quasi inesistenti o addirittura negativi. Diversi economisti e gestori di fondi parlano di situazioni e di trend in cui potrebbe presto diventare necessaria una “ristrutturazione” generalizzata dei debiti sovrani mediante l’allungamento delle scadenze di titoli già emessi o addirittura la loro cancellazione.
Si può bene immaginare cosa produrrebbe nei mercati una situazione del genere. Bernanke, nel suo interessante commento per il Brookings Institute (vedasi articolo precedente) dice che gli Usa non abbisognano al momento di altri interventi di sostegno all’economia ma non esclude che il Giappone possa trarre beneficio da un intervento di helicopter money, lasciando persino intendere abbastanza esplicitamente che ancor più ne avrebbe bisogno l’Europa.
Perché dunque Draghi non si muove, visto che non sa più che cosa fare per far ripartire un po’ d’inflazione e che continua a pompare inutile denaro (quantitative easing da 80 miliardi di euro al mese!) a sostegno dei debiti sovrani degli Stati Ue e delle banche che poi spendono quel denaro in attività non utili a far ripartire l’economia e a risollevare un po’ l’inflazione?
Il primo motivo è tecnico: lui non può decidere da solo un’operazione di distribuzione a pioggia di denaro che e’ competenza del Tesoro (ma in Europa non c’è un Tesoro, ce ne sono tanti, uno per nazione).
Il secondo motivo è, come per il Giappone, la paura. Paura di svegliare un demone inflazionistico che potrebbe diventare inarrestabile.
Un terzo motivo potrebbe essere la difficoltà tecnica di avviare una capillare distribuzione di denaro liquido in tutta Europa avendo cura di distribuirlo nel modo e alle persone che veramente darebbero alla manovra l’efficacia necessaria per rompere la spirale deflazionistica.
Considerando che il terzo motivo è solo tecnico e il secondo motivo e’ abbastanza ingiustificato (non puoi aver paura di attraversare a nuoto il fiume se sai nuotare e hai alle spalle qualcuno che se ti raggiunge ti strozza), rimane solo il primo motivo a fermare una manovra che può salvare l’intera Europa dal baratro di una deflazione che è già depressione e che può durare decine d’anni e persino, nel caso peggiore, cancellare per sempre l’Europa dei popoli (e dei sogni).
Ma in Europa è già finita anche la democrazia? Non mi risulta. Quindi tocca al popolo, più che a Draghi e ai burocrati di Bruxelles decidere se la politica monetaria suggerita da Friedman e da Bernanke può salvarci dal baratro oppure no. L’inflazione non fa bene a chi è a reddito fisso (lavoratori e pensionati) ma fa sempre molto meno male che una lunga depressione. L’Europa economica e’ oggi come una macchina con la batteria scarica, basta una spinta e tornerà a correre.
Se continuiamo a fare cose sbagliate andremo a fondo, se faremo le cose giuste (helicopter money, unità monetaria e fiscale, elevato sostegno alle politiche occupazionali) potremo tornare a essere nel giro di una decina d’anni la maggiore potenza economica del mondo.