Ciascun giornalista italiano, ovviamente, voterà quello che vorrà al prossimo referendum sulle modifiche alla Costituzione. Altrettanto ovvio dovrebbe essere l’impegno di tutto il sistema dell’informazione a garantire alla pubblica opinione il diritto a essere informata per poter scegliere in modo libero e consapevole.
Per altro questo impegno è anche un dovere deontologico che discende dalla legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti e dalla Carta dei doveri approvata nel 1993, come ha correttamente ricordato, su Il Fatto Quotidiano, Sandra Bonsanti, da sempre impegnata sul fronte della libertà di informazione. Al di là delle carte e dei codici, dovrebbe essere un impegno individuale quello di compiere ogni sforzo per spiegare ai cittadini le posizioni in campo, gli effetti della riforma, i rischi e le opportunità. Non vi è dubbio che ogni giornalista porterà in questa discussione anche le sue convinzioni ed esprimerà il suo punto di vista e ciascuno di noi deve imparare a rispettare le differenze e le diversità di opinioni.
Altra cosa, invece, è la eventuale negazione dei punti di vista, o l’oscuramento di una delle posizioni referendarie. I dati forniti dall’arbitro, l’Autorità di garanzia delle comunicazioni, hanno già segnalato con riferimento alle tv, uno squilibrio netto a favore del Sì.
Come è noto la medesima Autorità, per la sua composizione, non può essere sospettata di atteggiamenti “antigovernativi.” Questa disparità risultava particolarmente accentuata nel servizio pubblico radiotelevisivo. “Non siamo ancora nel periodo elettorale”, hanno risposto i poco informati, perché la legge sulla par condicio, ancora in vigore, impone, in questo casi, la parità di trattamento, sempre e comunque.
Al di là dei richiami alle leggi e ai codici, resta comunque l’obbligo per la Rai di garantire parità dei tempi tra le ragioni del Sì e del No, perché il servizio pubblico fonda quello che resta della sua legittimazione proprio sulla capacità di rappresentare tutte le posizioni, per parafrasare le parole di Antonio Padellaro.
In questi giorni il gruppo dirigente della Rai ha scelto di votare a maggioranza i nuovi direttori e ha respinto con sdegno l’accusa di aver voluto “normalizzare” l’azienda proprio alla vigilia del referendum. Ora hanno l’occasione per confermare o smentire le accuse.
Tanto per cominciare potrebbero decidere di dare ogni sera, al termine delle principali edizioni dei Tg, i tempi dedicati alle ragioni del Sì e del No, in modo tale da assicurare davvero il principio delle pari opportunità. Potrebbero farlo, qui ed ora, a costo zero, senza attendere i richiami di nessuna Autorità e di nessuna commissione di vigilanza. Se poi i tempi saranno utilizzati dai protagonisti per scambiarsi scomuniche e invettive che poco hanno a che vedere con la Costituzione, non prendiamocela solo con il… pianista.