Per comprendere bene il declino del renzismo, bisogna fare un giro nel nuovo porto di Ostia o in qualsiasi ipermercato di nuova costruzione. Il che può apparire bizzarro, ma le motivazioni del declino nel marketing si omologano e la politica decaduta segue gli stessi ritmi. Il porto di Ostia è un lungo susseguirsi di portici artificiali. Quasi un giocattolo, un modellino con uno spazio per passeggiare, una pista ciclabile e tanti locali con i tavolini fuori. Tutto moderno e deserto. Nel senso che, dimensionato per accogliere migliaia di turisti, ai primi di agosto era vuoto e con pochissimi turisti. Pieno di barche nella darsena, ma vuoto nei locali e nella grande via artificiale nella quale languivano pochissimi negozi di abbigliamento quasi sempre deserti.

Inesorabilmente, lo scorrere del tempo lo segnano aerei che decollano o che preparano la manovra d’atterraggio. Il che ha anche il suo fascino se pensiamo che molti al Sud passavano le giornate guardando i treni in stazione che arrivavano e partivano. Il fascino ottocentesco dell’osservatore del viaggio altrui che scruta arrivi e partenze e resta sempre fermo, sulla una panchina o al tavolino di bar.

Ma a Ostia si prova un senso di straniamento. E’ come se quel luogo non appartenesse allo spazio e al tempo che merita storicamente la foce del Tevere. E’ un qualcosa che ti lascia l’impressione di essere in una grande catena dove tutto è uguale indipendentemente dal luogo in cui sei effettivamente. La stessa amara sensazione che provi girando in alberghi della stessa catena sparsi in tutto il mondo: non sei nel luogo…sei dentro il metaluogo Ibis o Best Westher o NH o simili. E’ la deriva del villaggio turistico che ha contaminato completamente la società e l’Italia che resta il luogo unico per eccellenza. Questo accade, perché sottraendo la “narrazione” a un luogo, lo si crede tecnicamente più fruibile ed efficace in futuro.

Questa deriva, viene da lontano. Renzi non l’ha inventata, ma la cavalca a sua insaputa. Probabilmente il primo esperimento porta la firma giapponese degli architetti del tridente napoletano che provocarono nel centro della più bella città del mondo un fenomeno di sociologia urbanistica devastante: costruisci un grande centro direzionale, deporta gli abitanti originari di quel luogo in zone periferiche e pian piano svuota i centri storici creando altre aree periferiche. Il business edilizio momentaneamente dopato crea un ciclo breve di effervescenza economica, destinato al declino, perché i “ripascimenti in termini di servizi”, programmati delle zone nuove, puntualmente non si fanno, e il declino avanza veloce e inesorabile. In più l’effervescenza economica è concentrata nelle mani di pochi, che poi tuffandosi in altri business lasciano impoveriti anche i centri direzionali.

Vi starete chiedendo che cosa centra Renzi con tutto ciò? Apparentemente nulla, sostanzialmente tutto, poiché questa strategia è la filosofia del Leopoldismo, ovvero la narrazione dell’artificiale sul reale attraverso il linguaggio, la moda, il marketing ultramoderno. Questa cosa, se forse ha portato giovamento a Firenze, una città unica, ma pur sempre una città, ha comportato effetti catastrofici per l’Italia. Quello che in Italia si rendeva necessario era il modello Dublino. In quella Città, i centri direzionali sono stati inseriti nelle zone periferiche e più disastrate. Google per prima, ma anche altre multinazionali. In questo modo l’ingegnere elettronico è stato costretto ad andare ad abitare nelle case di queste zone, provocando una rivalutazione di quei luoghi ed un “ripascimento sociale” che ha messo in moto un meccanismo naturale di redistribuzione della ricchezza in modo orizzontale. Il senso di benessere diventa così reale e si tocca con mano ogni giorno. La qualità della vita aumenta in tutta la comunità in modo veloce e globale, perché l’ingegnere convince il disoccupato suo vicino a mettere il pannello solare, l’altro vicino apre una locanda che diventa cool perché frequentata dalla gente del posto e dall’ingegnere indiano di Google, si scambiano storie di vita, si recupera la narrazione ed il tempo, si progredisce ed il Pil ringrazia. Così si cresce! E comunque così si combatte il declino! E pensateci bene non è un fatto nuovo. Lo aveva suggerito Massimo Troisi con Mastroianni in un suo bellissimo film Che ora è. Nell’89, pensate un po’, mentre il muro crollava ed Ettore Scola aveva capito tutto in un bar di Civitavecchia. Ma forse Renzi ed i suoi questo film non lo hanno visto. Peccato! Perché è davvero un bel film.

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