Dove e come sia strutturata Casa Italia l’ho già descritto in un mio precedente post. Come funzioni non l’ho ancora detto. Ma c’è una ragione. A differenza delle altre case qui si entra solo su invito e non è così semplice. Ovvero, mentre ho ricevuto inviti da casa Repubblica Ceca e da Casa Messico, tanto per fare un paio di esempi, da Casa Italia silenzio assoluto. Dagli altri ci può entrare chiunque, sono aperte a tutti, mentre qui, alla faccia della filosofia “Horizontal” sbandierata in apertura, citando Platone, se non sei “qualcuno” che serve a “qualcosa” non entri.
La mia ultima richiesta, di una ulteriore visita è stata disattesa. Personalmente il tutto mi interessa relativamente, visto che già molto tempo fa ho lasciato perdere la fiducia nelle iniziative italiane. Ma dispiace un po’, visto che si sarebbero potute fare molte cose, oltre a una costosa festa di apertura.
Sono andato comunque raccogliendo opinioni sparse, ma questa volta voglio lasciar parlare qualcun altro. Sentite cosa mi ha detto Massimo Ferrarese, un imprenditore italiano nato all’estero, in Brasile, dove ha sempre vissuto, che da sempre ha lavorato con l’Italia, gli italiani ed è stato coinvolto con le realtà italo-brasiliane, principalmente tramite la Camera Italo-Brasiliana.
Massimo: “Non voglio esternare le solite lamentele, principalmente perché non sapendo quali erano gli obiettivi del Coni non potrei contestarli.
Io credo che questa avrebbe potuto essere una buona opportunità per attivare il così detto “Sistema Italia”, usando Casa Italia come punto di incontro per tutto quello che avrebbe potuto riguardare l’Italia nel periodo olimpico, ma non è stato così. Si poteva usare lo spazio per promuovere il Made in Italy, e tutto quello che in qualche modo rappresenta l’Italia in Brasile. Casa Italia avrebbe potuto essere un assemblamento italiano nelle Olimpiadi, nella quale si sarebbero potute fare azioni di marketing riguardanti il territorio, i mercati, i prodotti e i servizi italiani. (Sono stati invece coinvolti solo alcuni grandi sponsor, ndr).
Alcuni esempi per illustrare quanto cerco di far capire.
– Gran parte delle altre case sono aperte al pubblico e offrono esperienze con prodotti tipici come profumi, gastronomia, bevande, attività ludiche che rappresentano il modo di essere e vivere di quel determinato Paese. A Casa Italia si accede solo su inviti.
– L’Ente nazionale del turismo italiano (Enit) offre una “Serata Enogastronomica nei XXXI Giochi Olimpici” agli operatori e agenzie di turismo, ma lo fa al Consolato per mancati accordi col Coni.
– Come Camera di Commercio ho espresso l’interesse di attivare diversi eventi per promuovere il Made in Italy, ma non mi è stata data nessuna risposta. Anzi, solo durante la prima settimana informalmente è stata aperta la possibilità di realizzare un evento in loco. Ma il troppo poco tempo a disposizione ha impedito la realizzazione di un evento serio.
– La Francia, per esempio, ha invitato i food-truck di Rio che vendono gastronomia francese a occupare lo spazio, e facendo così, si è assicurata la promozione per tutto l’anno nelle strade di Rio.
Dobbiamo fare è un’auto-analisi del carattere italiano. Un’ostinazione a perseguire i propri obiettivi da soli, senza mettere in discussione le proprie idee per raggiungere una soluzione comune, quasi come se questo fosse segno di inferiorità. O sarà forse il timore di dover dividere i premi in caso di successo? Proprio come nelle Olimpiadi, dove anche negli sport individuali ci vuole una squadra di gente in gamba per vincere”.
Ma ancora, aggiungo io, Casa Italia avrebbe potuto davvero essere “Horizontal”, come voleva essere, dando spazio alle iniziative sociali meritevoli realizzate da italiani in Brasile, davvero numerose e significative. Questo avrebbe potuto significare scambio culturale e avviare un turismo solidale non basato sui soliti stereotipi (ahimè) italo-brasiliani. Ma niente di tutto questo. Ancora una volta ci ritroviamo, quando si parla di istituzioni italiane all’ “avremmo potuto”, “sarebbe stato interessante” e via di questo passo. Ancora una volta dunque, ha vinto soprattutto il provincialismo italiano. Quello che sventola a destra e a sinistra i grandi marchi, che si preoccupa soprattutto di essere autoreferenziale (vedi la promozione dei Giochi a Roma nel 2024), quello che fa fuggire cervelli e professionalità all’estero.
Benissimo i grandi marchi e sponsor, ma sarebbe stato interessante (come in mille altre occasioni) un minimo di attenzione al tessuto socioeconomico del resto del paese e degli italiani all’estero.