L’alta tensione tra Usa e Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio ha indotto Washington a trasferire le venti testate nucleari custodite nella base Nato di Incirlik a quella più sicura di Deveselu, in Romania. A scriverlo è il sito d’informazione europeo EurActiv, citando due diverse fonti indipendenti. La decisione sarebbe stata presa, appunto, dopo il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, con il presidente Recep Tayyp Erdogan che accusa l’ex imam Fethullah Gulen, in autoesilio in Pennsylvania, di essere stato la mente del colpo di Stato e chiede a Washington di concederne l’estradizione.

Pesano naturalmente anche le “purghe” contro i presunti oppositori di Erdogan, che proseguono senza tregua nel Paese. E’ notizia di venerdì l’arresto di 29 ispettori dell’Agenzia turca per la vigilanza e la regolamentazione delle banche (Bddk) accusati di “indagini irregolari” nei confronti di un ente parastatale e di uomini d’affari vicini al presidente e l’emissione di 84 mandati d’arresto nei confronti di altrettanti accademici delle università di 17 province per sospetti legami con Gulen. Nel frattempo la Procura di Sanliurfa, città della Turchia sudorientale, ha chiesto una condanna a 15 anni di reclusione per Figen Yuksekdag, co-presidente del partito turco filo-curdo Hdp, per “propaganda a sostegno del terrorismo” dei curdi siriani impegnati nella lotta allo Stato Islamico. Con la stessa accusa sono già stati chiesti cinque anni di reclusione anche per l’altro co-presidente, Selahattin Dermitas. Il partito Hdp, terza forza politica in Parlamento, è stato spesso accusato da Erdogan di essere il braccio politico del Pkk. Giovedì erano poi stati congelati i beni di 187 manager turchi, 60 dei quali arrestati in quanto sospettati di essere collegati al predicatore.

La mossa americana sarebbe legata anche all’ondata di attentati contro la polizia dello stesso Pkk, come i quattro che giovedì hanno causato la morte di almeno 17 persone e il ferimento di oltre 200, con autobombe lanciate contro caserme e un ordigno esplosivo fatto saltare lungo una strada. E la fiducia degli Usa nell’ex alleato strategico non è certo favorita dal fatto che nel frattempo Erdogan si sia riavvicinato alla Russia di Vladimir Putin.

Finora non c’è stato alcun commento sull’indiscrezione dagli Usa, mentre il ministero degli Esteri romeno ha negato con un comunicato stampa. La base aerea di Incirlik, strategica per la lotta all’Isis, si trova ad appena 100 chilometri dal confine con la Siria ed è diventata terreno di contrattazione e scontro da parte di Erdogan, disposto a concederla in futuro solo a patto che venga estradato Gulen. La base ha subito gli effetti del post-golpe: l’ex comandante Bekir Ercan Van è stato arrestato per il suo presunto coinvolgimento nel colpo di stato, mentre nelle ore successive ai fatti del 15 luglio le autorità turche hanno tagliato la fornitura di energia elettrica della base e proibito il decollo agli aerei statunitensi. Negli ultimi due anni Washington ha fatto nuovi investimenti per garantire la sicurezza delle testate, protette da soldati americani, chiuse in camere blindate e utilizzabili attraverso codici in possesso solo degli Usa. Ma oltreoceano qualcuno teme che possano cadere nelle mani sbagliate in caso di guerra civile. Senza contare il rischio più remoto, ossia che finiscano proprio nelle mani dei terroristi.

Il dibattito sulla base di Incirlik tiene banco anche sui media turchi, soprattutto quelli più conservatori e filo governativi. Ibrahim Karagul, direttore del quotidiano islamico Yeni Safak, ha scritto che la gestione delle armi nucleari all’interno della base Nato dovrebbe essere affidata ad Ankara che, in alternativa, se ne dovrebbe appropriare. La loro possibile nuova destinazione, la base romena di Deveselu, dove è attivo dallo scorso maggio il sistema antimissile Usa Aegis Ashore, avrebbe già irritato Mosca, con cui peraltro Erdogan ha ricominciato a flirtare grazie all’opportunistica riapertura di Putin. Ma ritirare le armi nucleari dalla Turchia significherebbe azzerare i rapporti fra gli Usa e quello che una volta era uno dei loro alleati più strategici e fidati, rischiando di consegnare Ankara nelle mani del Cremlino.

In questo clima di tensione arriva la visita del vicepresidente Usa, Joe Biden, che sarà ad Ankara il 24 agosto. Si tratta del primo incontro ufficiale tra i due Paesi dopo il fallito golpe e le insistenti richieste di estradizione di Gulen, per la quale però gli Usa chiedono prove concrete. Intanto la Turchia continua a ribadire che punta all’adesione alla Ue entro il 2023. Lo ha affermato Selim Yenel, il diplomatico che rappresenta Ankara all’Ue, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt. La data, sottolinea l’ambasciatore nell’intervista, corrisponderebbe al centenario della proclamazione della Repubblica di Turchia: “Sarebbe un coronamento per il mio paese” diventare a quel punto membro a pieno titolo dell’Unione.

Intanto continuano le purghe. In serata la notizia dell’arresto di diciotto dipendenti dell’ufficio del premier turco sono stati arrestati ad Ankara nell’ambito dell’inchiesta in relazione al fallito golpe del 15 luglio scorso. Sempre oggi sono stati arrestati 29 ispettori dell’autorità di vigilanza sul sistema bancario Bddk, un tribunale di Ankara ha ordinato l’arresto di 19 dipendenti della televisione pubblica Trt e sono stati spiccati mandati di cattura per 84 accademici delle università di 17 province della Turchia.

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