L’immagine del piccolo Omran Daqneesh, estratto dalle macerie dei bombardamenti ad Aleppo ha fatto ormai il giro del mondo. La tecnica è sempre la stessa: scatenare il pietismo per i “poveri bambini vittime innocenti della guerra” e subito dopo la condanna verso chi più di tutti sta invece cercando di liberare la Siria dall’Isis e dai “terroristi moderati”: i russi e l’esercito del “feroce dittatore” Assad che, sempre secondo molti media, non esiterebbe a bombardare con i gas il suo stesso popolo. Certamente Assad non è mai stato uno stinco di santo con gli oppositori islamisti ma, dopo innumerevoli episodi in cui i cosiddetti “ribelli” hanno usato i gas sulla popolazione per accusare Assad, le tesi preconfezionate dall’Onu non sono credibili e su chi abbia realmente bombardato i civili è ancora tutto da chiarire. Molto più urgente, invece, è comprendere che quella che si sta combattendo è anche una guerra mediatica, e che questa guerra è per la conquista delle nostre coscienze.
Fin dall’inizio del conflitto gran parte della propaganda è stata prodotta dal famigerato “Osservatorio per i Diritti civili in Siria”, finanziato dai servizi segreti inglesi e costituito da una sola persona, Rami Abdel Rahman, che da Londra invia notizie manipolate a tutto il resto del mondo. Ma come riporta Sebastiano Caputo de il Giornale (sì, spesso giovani e bravi giornalisti capaci di andare oltre il mainstream politico filo americano sono ospitati da pessime testate) sono ben tre le organizzazioni, “siriane” solo di facciata, che da 4 anni operano nel quadro globale della destabilizzazione del Vicino e Medio Oriente: “Il Consiglio nazionale siriano (reparto diplomatico), l’Esercito libero siriano (reparto militare) e l’Osservatorio siriano dei Diritti umani (reparto mediatico). Tutti e tre i coordinamenti sono stati creati a tavolino fuori dai confini siriani.
Il Cns che rappresenta la principale coalizione dei gruppi di opposizione in esilio è stato fondato a Doha (Qatar) l’11 novembre 2012 ed è presieduto da un certo Khaled Khoja, un uomo che ha sempre vissuto fuori dalla Siria. L’Esl (finanziato, armato e addestrato fin dall’inizio da Giordania, Turchia, Stati Uniti e Arabia Saudita) invece sarebbe formato da disertori dell’esercito regolare e mercenari che si è costituito caso vuole a Istanbul il 29 luglio del 2011, ma che oggi è confluito o collabora con gli altri gruppi terroristici dominanti nel Paese come Al Nusra, Al Sham e Isis.
Infine c’è l’Osservatorio siriano per i Diritti umani (Osdh), di cui si parla poco nonostante il suo ruolo centrale nel conflitto, vale a dire un organo d’informazione fondato nel 2006 da Rami Abdel Rahman con sede a Coventry, in Inghilterra. “Gli analisti militari di Washington si affidano al suo bilancio di soldati e ribelli uccisi per valutare l’evoluzione della guerra. Le Nazioni Unite e le organizzazioni di difesa dei diritti umani rovistano tra i suoi racconti di uccisioni di civili per trovare prove da utilizzare in caso di processo per crimini di guerra. I grandi media citano i suoi dati, noi compreso” ha scritto il New York Times nell’aprile 2013 a proposito dell’Osdh, lo stesso “osservatorio a senso unico” che in questi anni di conflitto ha accusato il governo di Bashar Al Assad di essere responsabile di qualsiasi atrocità, dall’uso delle armi chimiche contro i civili al massacro di Houla, successivamente smentite con prove incontrovertibili dalle fonti governative. Ma si sa che spesso dietro al “diritto-umanismo” c’è l’impostura. Rami Abdel Rahman, imprenditore sunnita di 42 anni, fuggito dalla Siria nel 2000 con l’aiuto di trafficanti, è praticamente un “one man band” che raccoglie e trasmette opinioni, statistiche, notizie e conteggio dei morti (civili e militari) dalla sua casa di Coventry, una città industriale sperduta nell’Inghilterra. Sul suo conto girano tante voci, lui però dice di essere vicino ai Fratelli Musulmani, i principali nemici della Siria baathista ai tempi di Hafez Al Assad il quale negli anni Ottanta li ha combattuti e resi illegali nel Paese. Tuttavia sempre il New York Times ha rivelato che le operazioni di Rami Abdel Rahman sarebbero in effetti finanziate da un ‘Paese europeo’ che però non è indicato. Non è difficile immaginare quale sia: probabilmente l’Inghilterra”. (da Il Giornale, 28/10/2015).
Ovviamente, sul territorio mediatico della Siria non agiscono soltanto queste quattro organizzazioni. Ci sono anche inviati speciali e free lance di testate come The Guardian che producono veri capolavori di persuasione sempre a fini di propaganda anti russa e anti Assad, come ad esempio Mustafa al Sarout, giornalista di base ad Aleppo, autore del video e delle foto del piccolo Omran. Mustafa al-Sarout, ha raccontato anche la genesi del video che ha come protagonista il bambino, diventato il simbolo del dramma dei civili in Siria. Nelle immagini, Omran viene estratto dalle macerie, provocate dai bombardamenti, e viene portato dentro un’ambulanza. Seduto su una sedia arancione, il bambino porta la sua mano al volto, coperto in una pasta di sangue e polvere sotto un ciuffo di capelli sporchi e guardia la macchia rossa sulle sue dita. Al Sarout commenta: “Ho fotografato moltissimi attacchi aerei ad Aleppo, ma non c’era così tanto come in quella faccia, il sangue e la polvere mescolati, a quell’età. Era spaventato e scosso. Era al sicuro nella sua casa, forse addormentato. E poi la casa è crollata su di lui. Quando lo abbiamo estratto fuori non piangeva né urlava, era proprio in uno stato di shock. I bambini vengono bombardati ogni giorno, questo non è un caso eccezionale. Questo bambino è il simbolo di milioni di bambini della Siria e delle sue città”. (da The Guardian 18/08/2016)
A dispetto di quanti sostengano che il video di Omran sia un “clamoroso” fake (e siamo ormai abituati ai complottisti d’Internet che sfornano continuamente tesi, queste sì clamorose, per cui perfino i morti del Bataclan sarebbero stati degli attori), il video purtroppo è vero. Le macerie da cui è stato estratto il bambino sono vere. I bombardamenti sono veri. Ma l’uso che si sta facendo del bambino è analogo mediaticamente a un bombardamento. Ci sono analisi che fanno acutamente notare che “Con 250.000 morti, tra i quali decine di migliaia di bambini, di certo non c’era bisogno di un altro video per evidenziare gli orrori della guerra alla Siria. Ma ora che i “ribelli siriani” (quasi tutti capeggiati dall’Isis) stanno per essere sloggiati anche da Aleppo cosa c’è di meglio di uno struggente video per invocare agli Usa e alla Nato una No Fly Zone (tipo Libia 2011)?”. L’esortazione più tempestiva a non cadere in questa trappola l’ha scritta l’ottimo Matteo Carnieletto su Gli occhi della guerra. Ma fermare questo gioco perverso dipende solo da noi.
Come? Ecco, fate una pausa e guardate di nuovo la foto del bambino. Invece di reagire di pancia, riflettete: vi sdegnereste nello stesso modo se vi mostrassero le foto delle centinaia di adulti e di anziani, uomini e donne, colpiti dai bombardamenti dei cosiddetti “ribelli”? Perché, in realtà, sono molti di più gli adulti e gli anziani che muoiono sotto gli attacchi delle milizie armate e addestrate dagli Usa e finanziate dai sauditi per far cadere Assad. O forse avete dimenticato che in Siria c’è la guerra? Siete ancora capaci di sdegnarvi leggendo articoli di pura propaganda come quello pubblicato dal Business Insider il 17/08/2016, secondo cui i bombardamenti Usa farebbero meno vittime nella popolazione di quelli russi?
Ora guardate ancora la foto del bambino e chiedetevi se il vero scopo del giornalismo sia quello di tentare di provocare reazioni di pancia oppure di informare con fatti precisi e fonti certe. E, considerando l’uso massiccio che da noi giornali e tv fanno di queste immagini, non vi viene in mente che sarebbe ora di rigettare subito questo genere di “informazione” e di pretendere invece di essere informati in modo corretto su quello che realmente sta accadendo in Siria? Dobbiamo fermare sul nascere la propaganda appena si manifesta. Ripeto, dipende solo da noi. Solo così riusciremo a impedire che i bambini divengano due volte vittime di questo conflitto. Prima certamente vittime della guerra e poi vittime anche dei media che li usano come ostaggi per fare disinformazione.