In nome della libertà è lecito e logico vietare un modo di vestirsi?

Le donne occidentali sono libere di vestirsi o la moda “impone” loro un certo abbigliamento pubblicizzato dai mezzi di comunicazione di massa?

Per una donna, musulmana o no, indossare il burkini è un atto di libertà o di costrizione?

Non derubricherei la vicenda burkini sì/ burkini no a un semplice folcloristico tormentone estivo. In questa vicenda si intrecciano visioni molto profonde di cosa sia la civiltà, i valori che la caratterizzano nella nostra cultura occidentale e l’idea di come impostare il futuro collettivo. Il burkini ha un significato psicologico e simbolico molto profondo in quanto rappresenta, come una bandiera di uno stato, un’idea del mondo.

Nessuno in Occidente si è mai posto il problema di regolamentare i turbanti indiani perché hanno solamente un significato culturale e non ci disturbano. Rappresentano la cultura di provenienza dell’interessato e non hanno un significato aggressivo verso coloro che non li indossano.

Il burkini, al contrario, rappresenta un’idea, che proviene dalla religione, ma che ha assunto in molti paesi del mondo un significato di coercizione e potere dell’uomo nei confronti della donna. Psicologicamente simboleggia non solo un modo di vivere ma il potere del maschio sulla donna che “deve” usarlo. In alcuni paesi una donna potrebbe essere incriminata o maltrattata dagli uomini se indossasse abiti per il bagno meno coprenti. Qualcuno afferma che alcune donne potrebbero scegliere di usarlo e, libere da condizionamenti maschili opprimenti, decidere in piena consapevolezza che questo indumento corrisponde alla loro cultura. Nel momento in cui il burkini assume però un forte significato simbolico diviene offensivo per le altre persone. Sarebbe come se qualcuno andasse al mare con un costume con sopra stampigliata la svastica nazista o la bandiera dell’Isis: urterebbe in modo dirompente la sensibilità e la psicologia degli altri. Il burkini indossato dalle donne agli occhi occidentali ha due significati simbolici e psicologici:

  • l’idea della sottomissione femminile con l’ipotesi che la persona che lo indossa lo faccia solo perché altrimenti il suo uomo, padre o marito, in un momento privato successivo l’aggredirebbe o addirittura la potrebbe picchiare
  • nel caso in cui la donna scelga di usarlo una sorta di manifesto aggressivo verso le donne occidentali e i loro costumi “ io sono una donna pura mentre voi siete delle prostitute”.

Viene spontaneo per gli occidentali un senso di repulsione con l’idea di vietarlo.

Derubricare il burkini a semplice espressione culturale come per esempio il vestito di una suora che sceglie di indossare un certo abito in spiaggia mentre gestisce una colonia di bambini potrà avvenire solo nel tempo attraverso un processo di integrazione culturale in cui l’elemento costrittivo e aggressivo si stemperino.

Certamente le donne occidentali sono condizionate dalla pubblicità ad indossare certi indumenti per cui con altrettanta certezza possiamo ammettere che anche il bikini viene indossato perché il sistema pubblicitario lo vuole. Dentro di noi però esiste l’intima convinzione che se una donna non si sente a suo agio può, senza incorrere in castighi, abbigliarsi in altro modo.

L’esposizione del corpo maschile o femminile rappresenta qualcosa di più profondo che il semplice vestito in quanto riveste un significato sessuale e sensuale. In linea teorica accende il desiderio anche se rilevazioni attuate negli anni hanno mostrato che può essere controproducente. I maschi e le femmine del secolo scorso si eccitavano molto di più per una caviglia scoperta rispetto ai giorni attuali in cui sono assuefatti alla nudità. L’aspetto culturale è quindi molto rilevante e va sottolineato che per una donna o un uomo non abituati può divenire imbarazzante abbigliarsi in un modo che non si senta conforme alla propria idea e cultura. Impedire a una donna musulmana o meno di esprimere con l’abito il suo personale senso del pudore sarebbe una coercizione intollerabile.

Alla fine di questo ragionamento ci troviamo di fronte a una certa difficoltà in quanto è difficile rispettare contemporaneamente tutte le sensibilità. Mi pare che una legge generale sia uno strumento poco idoneo per affrontare un argomento così complesso e pregno di sfaccettature culturali e psicologiche.

La dicotomia non è burkini sì/burkini no, ma il modo e la misura con cui questo indumento viene utilizzato. Occorre da parte delle donne e uomini musulmani la consapevolezza di capire che questo indumento può urtare la nostra sensibilità visto che anche gli occidentali quando vanno in vacanza nei paesi arabi utilizzano spiagge private chiuse rispetto alle spiagge ove si recano i locali. Allo stesso tempo occorre che un minimo di tolleranza e comprensione alberghi in ognuno di noi. Se poi, forse inevitabilmente, si determineranno conflitti o difficoltà il singolo gestore del bagno o il sindaco del paese, così come regolamentano il modo di fare un falò sulla spiaggia, potrebbero avere l’autorità di regolare l’uso degli indumenti. Ricordo a questo proposito che il conflitto da cui è scaturito il primo divieto deriva dal fatto che un gruppo di musulmani su un lembo di spiaggia ove le donne indossavano il burkini aveva messo un cartello di divieto di accesso. Alcuni ragazzi del posto pretendevano di esercitare il loro diritto di entrare in quel tratto di mare. Da questa vicenda è nato un conflitto che ha portato a danneggiamenti di auto e pestaggi.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

La lotta contro il burkini? Una vittoria dell’Isis

next
Articolo Successivo

“Ho lasciato tutto per aprire un ostello in Ecuador. Il terremoto l’ha distrutto, ma io non mollo”

next