Se una notte di fine luglio sbarchi a Palermo e ti capita questo libro tra le mani pensi – in fondo – sia un cadeau di benvenuto che non puoi permetterti di rifiutare. Se poi a Palermo ci finisci per lavoro, seguendo un sentiero in direzione ostinata e contraria, allora non puoi che partire da lì. Eppure Appalermo, Appalermo, primo romanzo di Carlo Loforti ed edito da Baldini&Castoldi, non è un libro su Palermo.
Sì, l’autore – classe 1987 – immerge le mani nella sua terra prima di scrivere e nel farlo trattiene tracce di una musicalità e di un’ironia rara. Il linguaggio, la cadenza, i luoghi fanno provare l’incredibile sensazione di ascoltare più che di leggere. Eppure Loforti affida il racconto a un protagonista e narratore che va ben al di là della “palermitanità” che dovrebbe incarnare.
Mimmo Calò, 44 anni, metà dei quali spesi a raccontare le partite del Palermo (calcio) e importatore ufficiale in Sicilia dell’esultanza alla brasiliana, si ritrova improvvisamente disoccupato, con una moglie incinta e un’ingombrante suocera sul groppone. E’ così costretto, lui che si descrive più che come un Don Abbondio che come uomo del nuovo millennio dotato di problem solving, a trovare – alla svelta – una via d’uscita.
L’occasione arriva dal suo particolarissimo hobby: partecipare alle aste giudiziarie. Senza volerlo, infatti, Calò un giorno si ritrova con un magazzino tra le mani e si fa convincere dall’amico Pier Francesco ad aprire una sfincioneria: lo sfincione è una pizza tipica da queste parti (anzi, una pizza che così si fa solo da queste parti). Da qui incomincia una serie infinite di avventure o – come le chiama Calò – “sfighe”: mutui, fidi a rischio, richieste di pizzo, una rapina in banca, un sequestro e persino delle pistole puntate alla testa. Ma Mimmo è quello che da piccolo, nel momento in cui non riesce più a giocare a calcio allo stesso livello degli altri, si inventa come commentatore a bordocampo. E’ quello che con una battuta spiazza l’esattore del pizzo o convince il direttore di banca a concedergli un fido extra. Insomma è uno che, in qualche modo, se la cava.
Ecco perché in fondo questo libro non parla di Palermo e nemmeno della Sicilia. La mafia descritta non è così diversa da quella presente in molte altre regioni. I mutui, le banche, i “traffichini” sono all’ordine del giorno. E persino il maschilismo di Calò, questo suo dipingere le “femmine” (non le donne, le femmine) con divertenti elenchi infiniti – che molto ricordano il Nick Hornby di Alta Fedeltà – nascondono in realtà un personaggio quasi goffo nel rapportarsi con il genere femminile: incapace per esempio di dire di no alla sua compagna e alla temuta suocera o, ancora, di confessare l’incontro con una pulla in gioventù, con la quale si è persino commosso. Insomma, quanto di più lontano dal playboy maledetto presente nella stragrande maggioranza dei romanzi italiani.
Per tutto ciò, Appalermo, Appalermo esce dai confini della sua isola e arriva in ogni zona d’Italia: dal piccolo paesino di provincia alla grande città. Nessuno è esente dalle sfighe di quest’era moderna che assomigliano, vestite in maniera diversa, alle sfighe di ogni tempo. Per quelli che si muovono costantemente su un equilibrio sottile, non resta che la lezione di Mimmo Calò: prendere la vita con più leggerezza e imparare la sacra arte dell’arrangiarsi.
di Guido Di Santo