Ai Giochi Olimpici i gesti politici sono vietatissimi dal regolamento del CIO. Vecchio retaggio per non indispettire questo o quel governo (democratico o meno), visto che in passato ne sono successe di tutti i colori, a cominciare dai leggendari pugni chiusi nel guanto nero (simbolo del black power) alzati sul podio a Città del Messico dagli americani Smith e Carlos.
Quando un atleta è sul traguardo o sul podio, però, non c’è norma che possa fermarlo, qualora decida di esprimere pubblicamente un dissenso politico. È esattamente quello che ha fatto il maratoneta etiope Feyisa Lilesa, medaglia d’argento nella corsa regina dei Giochi, che sul traguardo ha intrecciato i polsi come gesto di protesta contro il governo di Addis Abeba. Lilesa fa parte del popolo Oromo, popolosa minoranza in Etiopia, le cui proteste democratiche sono state recentemente soffocate nel sangue dal governo centrale. Il CIO ha fatto sapere che indagherà sul gesto e deciderà su eventuali provvedimenti. Lilesa, dal canto suo, ha fatto sapere che non gliene può fregare di meno e che lo rifarebbe, perché molti suoi familiari sono in carcere e lui stesso rischierebbe la morte qualora decidesse di tornare in patria. Perché va bene la medaglia, ma ci sono cose leggermente più importanti.