La produzione dei modelli Golf e Passat nella fabbrica Volkswagen di Wolfsburg resta bloccata e le ore di lavoro di tutti i 27.700 dipendenti in Germania sono ridotte. Secondo il membro del consiglio di sorveglianza e leader del consiglio di fabbrica Bernd Osterloh “la responsabilità è chiaramente dei fornitori“, che la settimana scorsa dopo un braccio di ferro senza precedenti hanno interrotto le consegne causando di fatto il blocco delle catene di montaggio. I fornitori, dal canto loro, accusano il gruppo già nella bufera per il Dieselgate di aver annullato i contratti senza motivo o preavviso e di essersi rifiutata di compensarli. Lunedì è in agenda un incontro nella sede centrale per tentare di risolvere la controversia.
Secondo l’agenzia Bloomberg, sei fabbriche di assemblaggio (da Braunschweig a Zwickau e Kassel), sono operative a regime ridotto e il lavoro sui modelli Golf rimane fermo. Nel frattempo, in una nota inviata ai dipendenti della sede di Wolfsburg, il consiglio di fabbrica si è detto d’accordo a ridurre l’orario di lavoro per tutti. I negoziati con uno dei fornitori di sedili e rivestimenti nonché parti di trasmissione, ha riferito un portavoce di Volkswagen, dovrebbero riprendere nel pomeriggio. “La questione non sarà solo l’attuale contratto, che ora è stato rescisso, ma probabilmente anche come si prospettano i prossimi mesi e anni”, ha detto alla Deutschland Radio Olaf Lies, membro del supervisory board di Volkswagen.
Il braccio di ferro, combattuto anche a colpi di ordinanze tribunalizie, è con i fornitori “Es Automobilguss” e “Car Trim“. Il problema sono i soldi. “Un gruppo di piccole e medie imprese si sente ricattato” dal colosso di Wolfsburg, ha sottolineato il quotidiano economico Handelsblatt. A fine giugno il suo responsabile acquisti Francisco Javier Garcia Sanz aveva avvertito i fornitori che il gruppo vuole “diventare molto più efficiente nei costi degli acquisti” al fine di restare “concorrenziale“. Un bisogno di competitività reso ancora più urgente dallo scandalo dei dispositivi installati sulle auto per truccare i valori delle emissioni, in seguito al quale il gruppo ha dovuto accantonare oltre 16 miliardi di euro e ha chiuso il 2015 con un rosso di 1,6 miliardi. E ora, nonostante una transazione da 14,7 miliardi di dollari con le autorità Usa, rischia comunque un processo nel Paese che per primo ha portato alla luce la truffa nel settembre 2015.
La settimana scorsa anche Bosch, grande fornitore del gruppo, è finito al centro di un nuovo fronte nello scandalo, perché alcuni avvocati americani accusano il gigante della componentistica auto di “complicità” nello sviluppo del software utilizzato per taroccare i risultati dei test anti-inquinamento di quasi 11 milioni di veicoli. Il capo della multinazionale tedesca maggiore produttrice mondiale di componenti per autovetture, Volkmar Denner, avrebbe “saputo del segreto”, sostengono gli avvocati.