Quando leggo che lo straniero uccide una donna per cattiva cultura e quando c’è di mezzo un italiano lo fa perché è solo un comunissimo pazzo mi viene in mente che tanta è ancora la strada che dobbiamo percorrere per poter affermare una verità precisa: le donne vengono offese, uccise, mutilate, violentate, perché ad esse è attribuito il dovere di interpretare un preciso ruolo di genere. Si chiama “violenza di genere” non a caso e non si può dirla diversamente senza dare l’impressione di voler dirottare la discussione altrove, minimizzando e togliendo a noi la capacità e l’opportunità di autonominarci in quanto vittime e fonti di soluzione per i limiti che nessuno dovrebbe mai subire.
Un uomo italiano ha tentato di uccidere la sorella perché indossava la minigonna, si truccava, usciva, praticamente si comportava come fosse suo diritto essere libera di scegliere quel che fare o indossare. E se un musulmano avesse fatto lo stesso? Si direbbe tutto il male possibile sulla sua religione di riferimento. Se è un italiano possiamo solo sperare che non ci capitino “pazzi” ad attraversare la nostra strada perché altrimenti l’unica prevenzione possibile sarebbe mandare a monte la legge Basaglia e riaprire i manicomi. Invece la faccenda è più che semplice. C’è un problema largamente diffuso in ogni angolo del pianeta e ci riguarda tutt*, uomini e donne, gay, lesbiche, trans ftm o tfm.
Riguarda anche le donne che osano dire alle altre quel che devono indossare e quel che no, perché nell’attimo stesso in cui danno alle istituzioni il potere di vietare e decidere sulla pelle altrui stanno riaffermando il diritto degli uomini di spararci perché abbiamo indossato una minigonna o qualunque altro capo di abbigliamento che trasgredisca la norma imposta.
La mentalità sessista sta alla base: le donne devono fare quel che dice l’uomo di casa. La cultura machista e del possesso guida la mano di un assassino: mi appartieni, fai quel che voglio io e se disobbedisci allora sparo. La repressione, il divieto, la normatività, l’offesa all’autodeterminazione della donna è la conseguenza. Questo avviene quando il corpo delle donne, così come alcune femministe purtroppo vorrebbero, diventa corpo sociale, affidato alle cure dello Stato patriarcale, e delle sorveglianti autoinvestite di quel ruolo.
Vedete bene che un “fratello” che spara ad una donna perché indossa una minigonna è incoraggiato da una mentalità che delega all’uomo di casa la difesa dell’onore e della dignità della donna. Il delitto d’onore, in alcune culture ancora applicato da tutti i membri della famiglia, donne incluse, contro figlie disobbedienti e fuori dal controllo familiare, deriva da una convinzione orrenda: difenderti è il mio dovere e per difenderti devo opprimerti, limitarti, e se non ti basta la mia spiegazione allora dovrò punirti. Per il tuo bene. La minigonna è la giustificazione dello stupratore, e per “salvarti” ti vieto di indossarla. Se la indossi ti sparo.
Liberare le donne, loro malgrado, senza ascoltarle o rivolgere l’attenzione a chi le opprime, è la scusante per qualunque offesa e negazione alla loro libertà di scelta. Seguono varie ed eventuali osservazioni tutte piuttosto pertinenti: quelle che dicono che indossi la minigonna perché sei schiava dello sguardo maschile fanno il paio con quelle che ti dicono che se indossi il velo non sei libera di scegliere. Pensi di esserlo ma in realtà non lo sei. L’uccisione, il colpo di pistola, la coltellata, l’offesa, arrivano quando tu dici agli altri e alle altre che decidi per te e gestisci il tuo corpo come più ti piace.
Partiamo da una premessa importante: il corpo è mio e lo gestisco io, mi vesto come voglio e la mia liberazione non è detto che porti a quella che pensi sia giusta per te. Vestire un determinato abito non vuol dire nulla, non è irriconoscenza nei confronti di un fratello che dice di volerti difendere dalle molestie, colpevolizzando te che le subisci, e non è irriconoscenza nei confronti di quelle che vanno in giro con le forbici simboliche a tagliuzzare il tuo velo o il tuo burkini per obbligarti a pensarla come loro.
Siamo talmente oppresse da chi continua a dirci cosa dobbiamo indossare e cosa no e non ci rendiamo conto che se lo facciamo anche noi ha la stessa valenza negativa e lo stesso potere simbolico che legittima un potere reale. Da quel che ho visto crescendo dalle mie parti c’è ancora chi pensa che vietare l’uso di una minigonna possa essere un segno di attenzione da parte di un marito o un fidanzato. Ascolto donne compiaciute mentre raccontano del marito geloso, il che equivarrebbe a “innamorato”, e che vieta loro di indossare capi scollati. Sono gli stessi uomini che dicono a quegli altri di smettere di controllare le donne obbligandole a portare il velo. Ed è tutto un ragionamento al maschile, tra uomini che dicono ad altri quel che bisogna fare con le proprie donne.
E’ strano poi vedere alcune femministe inserirsi in questo scambio testosteronico usando esattamente gli stessi codici comunicativi. Divieto, censura, negazione del diritto alla libera scelta, disconoscimento e patologizzazione della scelta quando diversa dalla loro, sono tutte modalità agite da quelli che dicono di volerci difendere e ci opprimono, qualunque sia la latitudine e la longitudine in cui si trovano. La donna che scampa al femminicidio perché vittima di un fratello maschilista e oppressivo non è diversa da molte altre donne che vivono pressappoco la stessa situazione. La parola d’ordine, in tutti i casi, non può essere divieto. Non si può vietare quel che non ci piace, ovvero quel che non piace a noi per noi stesse, e considerarle libere quando la scelta ci somiglia di più.
E’ il divieto che va abolito, così se mi obbligano a non indossare la minigonna allora io la indosso e la faccio anche più corta. Se mi vietano di indossare il burkini, che è il mio mezzo di emancipazione nella mia cultura, allora lo indosserò e tutte lo indosseranno. Quel che non si coglie è il fatto che tutte quante non reagiamo bene ai divieti. La cifra rivoluzionaria è la trasgressione. Dunque perché imporli?
Questa ragazza sopravvissuta al divieto del fratello avrà capito, sulla propria pelle, che le donne sono anche vittime di chi non accetta un No, di chi non ci lascia scegliere liberamente, qualunque sia la scelta che facciamo. Lei sa che chi dice di volere il tuo bene spesso ti possiede e si comporta da padrone. L’unica chance è capire che salvarsi da sole e non accettare divieti è il mezzo rivoluzionario che ci permette di andare oltre. Oltre tutto quello che fa di noi degli oggetti, corpi senza possibilità di autogestione, pelle consumata dalle scelte altrui.