L’Espresso ha deciso di demolire Dario Fo. Attraverso la penna di Marco Belpoliti, il premio Nobel – bastian contrario e controcorrente da sempre – diventa un conformista. Già il titolo prepara il lettore a questa surreale interpretazione, un titolo ad effetto, certo, che rispecchia tuttavia il senso complessivo del testo: “Dario Fo, il conformista” (21 agosto 2016).
Il giornalista prende le opportune precauzioni. Sa che sta scrivendo il ritratto di un intellettuale complesso. Deve essere bacchettato Dario, ma è pur sempre un Nobel. Dunque: Fo è “un artista, cui la cultura italiana deve molto da tanti punti di vista. Non solo per il Nobel assegnatogli nel 1997…”. Parole dovute. L’introduzione, per così dire, al tema: il ridimensionamento, la stroncatura (non si stroncano solo i libri, anche le vite). Si comincia dalla biografia. Fo ha “un’identità complessa che l’ha portato da giovane soldato della fascistissima Repubblica di Salò alla militanza nell’estrema sinistra”. L’esperienza repubblichina. Belpoliti sente il bisogno di insistere: al centro dell’articolo torna sul tema: Fo è passato da Soccorso Rosso al movimento di Grillo, “senza dimenticare il suo inizio come milite repubblichino, a lungo rimosso.” Andava detto due volte, affinché non sfuggisse.
Dopo i preliminari, eccoci all’argomento forte. Che tipo d’intellettuale è Fo? E via ai confronti con Picasso, Sartre (“che scende in campo durante il Sessantotto a fianco degli studenti”), Sciascia, Pasolini. Che differenza c’è tra questi intellettuali-scrittori e Dario Fo? E’ la domanda chiave del ritratto de L’Espresso. La risposta è scientificamente demolitoria. E falsa. Sartre, Pasolini… sono stati grandi e coerenti col proprio ruolo d’intellettuali. Dario Fo, no. “Il suo attivismo politico appare sempre segnato da una caratteristica: il populismo”. E’ questa, ormai, la parola chiave con la quale si fulminano gli avversari: Fo sta con i 5 Stelle, è un avversario, va combattuto, fulminato, appunto, col marchio di populista.
Ma è solo l’inizio. Il testo – nella sua carica distruttiva – cade nel ridicolo: “Anche quando sposa cause minoritarie, o presunte tali, quando sembra opporsi al Potere”, Fo ha “il popolo come riferimento più o meno ideale”. Si potrebbero scrivere molte pagine su quel “presunte tali” affibbiato alle “cause minoritarie” sposate da Fo (è stato cacciato dalla Rai perché conforme alle idee della maggioranza democristiana. E’ questo che intende dire Belpoliti?). Assurdo. Ma abbiamo poco spazio. Urge sottolineare il verbo “sembrare”. Una parola buttata lì quasi per caso, e tuttavia rivelatrice dello spirito del giornalista. “Anche quando sembra opporsi al Potere…”. Pensavamo – che stupidi! – che Dario Fo avesse combattuto per una vita (e combatta) il Potere politico, economico… pagandone anche il prezzo. Invece, no. Belpoliti ci spiega che Fo “sembra” opporsi al Potere. Complimenti! Sono le meraviglie dell’ermeneutica. Un vero seguace di Gadamer.
La perla interpretativa andava, in qualche modo, giustificata. Il Nostro lo fa, prendendo un’altra cantonata: Fo ha bisogno di far parte di un gruppo; Sartre – Belpoliti lo conosce Bene – “scende in strada con gli studenti e parteggia per i maoisti”, ma “è un uomo solo”. I gesti di Fo invece “non l’hanno isolato”; di più: gli intellettuali (quelli veri) non hanno “nessuna ideologia”. Eccetera. Qui siamo al delirio o alla malafede. Dario Fo ha vissuto un lungo periodo di isolamento, lo sanno tutti. Che significa, poi, che gli intellettuali non hanno “nessuna ideologia cui riferirsi”? Sartre, preso a modello dal Nostro, sosteneva che “il marxismo è la filosofia insuperabile del nostro tempo” (Critica della ragione dialettica), e l’ideologia entrò nei suoi romanzi, provocando danni (vedi i cosiddetti romanzi minori: L’età della ragione, eccetera).
La verità è che proprio il ritratto di Fo proposto dall’Espresso si presenta come ideologico. Ha una finalità politica: Fo appoggia il Movimento 5Stelle, va screditato, dunque: la sua lotta non è “mai solitaria”, non è “mai davvero controcorrente”. Gli si attribuiscono pensieri che – ne siamo sicuri – non ha mai avuto: “In Fo prevale la convinzione che… tutto quello che tocca si trasformi in oro.” E’ davvero troppo. Una sola domanda: nel costruire questi bei ritratti, si dovrebbe spiegare perché Umberto Eco che appoggiava il Pd (al governo) andava bene; Dario Fo che sostiene i 5Stelle (all’opposizione), invece, non è un vero intellettuale né va controcorrente. Perché?