Marco Damiani, ricercatore di Scienze politiche all’Università di Perugia, ha recentemente dato alle stampe, con Donzelli editore, La sinistra radicale in Europa – Italia, Spagna, Francia, Germania. Sino al 1989 erano molti i libri che studiavano i partiti politici. Dopo sono nettamente diminuiti, quasi a supportare la potente disaffezione di tutti i popoli europei (con qualche eccezione), verso di loro.
Damiani, con accuratezza, copre un vuoto che ha bisogno di ulteriori studi scientifici. I paesi esaminati sono quattro: Italia, Spagna, Francia, Germania. Si scelgono i paesi più popolosi dell’Europa occidentale. La Gran Bretagna viene esclusa e, visti i recenti avvenimenti, è intuibile il perché. L’assunto di Damiani, che viene poi dimostrato nella ricerca, è che i partiti della sinistra radicale, avversi al liberismo, sono anti-establishment, ma non anti-sistema. Hanno perso il carattere rivoluzionario, e riconoscono placidamente nella democrazia liberale l’arena politica sulla quale giocare.
La differenza coi socialdemocratici e i loro eredi, sarebbe nell’opposizione al liberismo, e con l’estrema sinistra, al contrario, nell’accettazione della democrazia liberale. Riemerge un tema classico del pensiero rivoluzionario: quale rapporto tra riforme e rivoluzione? E’ possibile essere riformatori e, contemporaneamente, rivoluzionari? Il socialismo del XXI secolo latinoamericano ha dimostrato nei suoi primi 15 anni, dal 2000 al 2015, come riforme e rivoluzione debbano combinarsi in società in cui il consenso sociale, il “discorso” direbbe Foucault, è sviluppato e realizzato mediante agenti sociali potenti e numerosissimi, spesso inconsapevoli.
Oggi l’America Latina attraversa un momento difficilissimo, ma di questo il libro non si occupa. Al contrario traspare come la risposta storica alla caduta del Muro di Berlino, nei paesi esaminati, sia stata inadeguata, sia da parte dei “nostalgici” sia da parte di chi da tempo se ne era distanziato. Allo stesso modo il rapporto partiti-movimenti non ha, nella pratica storica, conosciuto un rinnovamento.
Un elemento analitico centrale, ricorrente, è il rapporto con la socialdemocrazia. L’alleanza coi partiti socialdemocratici ha sconquassato i partiti esaminati, tra chi era contrario e chi no. Oggi la socialdemocrazia si è trasformata, in tutta Europa, in social-liberismo, ma ancora, quanto meno in Italia, il dibattito sul tema rimane aperto, tra alleanze locali e divisioni nazionali. Il problema non è Renzi, ma il processo storico nel quale siamo immersi, e un governo Franceschini, possibile primo ministro in caso di vittoria del no al referendum, non farebbe cambiare rotta alle socialdemocrazie, che conoscono già da anni la loro definitiva sconfitta, che porta i loro dirigenti ad assumere il liberismo e l’atlantismo Nato quale stella polare.
Oggi non è forse il momento di tornare a essere sia una forza anti-establishment, che anti-sistema? Il “sistema” Ue-Nato è da accettare a prescindere? Damiani, nell’elencare i partiti fondatori della Sinistra europea, include anche la catalana Esquerra Unida i Alternativa, l’organizzazione catalana che tanto ha contribuito alla vittoria di Ada Colau a Barcellona, una delle città più importanti d’Europa.
La vostra Italia, che non ha fatto i conti col proprio colonialismo esterno (Libia, Etiopia) ancora meno ha fatto i conti col colonialismo interno che ha conosciuto la Sardegna. I tentativi di costruire processi simili a Esquerra Unida i Alternativa in Sardegna sono stati soffocati dalla “sinistra italiana”. Non sarà il caso di cambiare rotta anche su questo?