Nei giorni scorsi, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia ha analizzato le condizioni del sud, visto come “mondo a parte”, cogliendo spunti nella protesta dei docenti meridionali e nella polemica sulle votazioni degli esami di maturità. Il sud viene presentato come “un mondo dove vigono altri criteri di valutazione, un’altra idea, si direbbe, di che cosa siano la scuola e lo studio e il loro rapporto con la società, di che cosa debba essere la preparazione dei giovani alla vita, un’altra idea si deve supporre – di che cosa sia la vita stessa”.
Devo osservare che, in molti casi, quando si parla di sud, è facile soffermarsi sugli effetti senza risalire alle cause. Premesso che sempre più diplomati e laureati del Sud, dando corso a migrazioni interne continue, si muovono alla volta delle regioni settentrionali, si integrano e contribuiscono a dare al mondo produttivo del nord quella maggior vitalità che lo contraddistingue, come lo stesso Galli della Loggia ammette, non vedo, nel paese, una separazione tanto netta: la criminalità organizzata è presente ovunque trovi sponde reattive; il familismo è un atteggiamento riscontrabile anche in famiglie politiche (intendo proprio famiglie, nel senso di consanguinei) non meridionali; la tendenza all’occupazione localistica è presente in tanti bandi soprattutto al nord, che spesso escludono i non residenti. Inoltre, se occorre precisarlo, il presunto fallimento dello Stato nazionale a causa del decentramento amministrativo e culturale, attuato negli ultimi decenni, conferma, ancora una volta, il fallimento delle politiche d’ispirazione federalista.
Alcune note attualissime sul sud, forse anche utili a ricostruire nessi causali e smascherare luoghi comuni:
1. La mafia ha fatto il suo salto di qualità proprio trovando sponde politiche favorevoli in gruppi di affari settentrionali. Nel suo libro, Collusi, Nino Di Matteo ricorda il patto ventennale tra criminalità mafiosa e imprenditori del nord di grande peso politico, citando una recente sentenza della Corte di Cassazione. Riporto le parole del Pm “I giudici affermano che certamente, a partire dal 1974 e fino al 1992, è stato concluso un patto tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e gli organismi di vertice delle famiglie palermitane di Cosa Nostra”. Quindi, citare casi esemplari di politici locali del sud, sgrammaticati e magari culturalmente inidonei, può andare bene per cercare di dare del Mezzogiorno un’immagine ancora macchiettistica e caricaturale, ma ben altro peso e altri effetti hanno senz’altro avuto più ponderosi livelli e canali di dialogo tra istituzioni e mafie sul destino di questo territorio.
2. Come ricorda Gianfranco Viesti, “nell’ultimo ventennio, il complessivo sforzo di miglioramento e modernizzazione del Mezzogiorno è rallentato molto” e “al sud ormai quel poco che si fa è tutto finanziato dall’Europa”.
3. È in corso una progressiva riduzione dei fondi ordinari per le università, in modo più accentuato nel Mezzogiorno, motivato dalle ragioni dell’austerity; nonostante tutto, l’aumento del rapporto debito pubblico/Pil dal 107% del 2007 al 133% del 2013 (Dati Guglielmo Forges Davanzati) dimostra la totale inefficacia delle misure di taglio. In più, grazie al meccanismo della premialità, alle università meridionali vengono sottratti fondi che finiscono per alimentare la migrazione studentesca. Eppure, Marco Esposito su Il Mattino ha osservato che “Le università del Mezzogiorno, con poche eccezioni, offrono ai propri studenti opportunità di accrescimento sociale e soddisfazioni economiche maggiori rispetto a tanti blasonati atenei del Nord, con risultati particolarmente brillanti per il Politecnico di Bari, l’Università di Foggia e la Federico II, la quale svetta fra i grandi atenei”, basandosi sulle banche dati ufficiali disponibili. Conclude Esposito che “ciò non equivale a dire che in quelle prestigiose università non ci siano professori di qualità e strutture di ricerca di prima grandezza; ma soltanto che laurearsi in quegli atenei non migliora sensibilmente le opportunità lavorative e retributive rispetto a chi già vive a Bologna, a Roma o a Milano (e magari interrompe gli studi)”.
4. L’abbandono del Mezzogiorno al proprio destino, sancito dai dati Istat e Svimez degli ultimi anni, non può che alimentare la percezione della distanza tra cittadino e istituzioni e alimentare identitarismi fanatici, frutto di quella diserzione della politica dal suo ruolo e dai suoi compiti.
5. La migrazione sanitaria dei meridionali (o, meglio, di quelli che se lo possono permettere, come giustamente osserva Galli della Loggia) è il segnale più triste dell’arretratezza o anche solo della brutta fama dei servizi mediamente offerti al sud, che confligge con i principi di uguaglianza dei cittadini sancito dalla nostra Costituzione.
6. L’infografica riportata qui sotto, tratta dal sito opencivitas.it, rivela che la spesa storica negli enti locali meridionali è mediamente inferiore. Se questo si aggiunge a una minor capacità di spesa dei fondi europei, dovuta a carenze di progettualità e di visione delle classi dirigenti meridionali, non ci si può certo aspettare di trovarci la California, a queste latitudini.