Continua il calo dei contratti a tempo indeterminato rispetto al 2015, quando i datori di lavoro avevano diritto alla decontribuzione totale per un triennio. Ma i nuovi posti fissi sono stati inferiori anche a quelli censiti nel primo semestre del 2014. Intanto sono stati acquistati 69,9 milioni di buoni da 10 euro, contro i 49,8 della prima metà del 2015 e i 28,5 del 2014
Continua il calo, rispetto al 2015, delle assunzioni a tempo indeterminato. E non dà segno di frenata, nonostante i correttivi annunciati dal governo a giugno, il boom nell’utilizzo dei voucher da 10 euro destinati in teoria solo al pagamento delle prestazioni di lavoro occasionale. Sono i principali risultati che emergono dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps relativo ai primi sei mesi del 2016. I dati, relativi ai soli lavoratori dipendenti del settore privato, mostrano che tra gennaio e giugno si sono registrate 2,57 milioni di assunzioni, 302mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2015.
Ma il rallentamento ha coinvolto esclusivamente i contratti stabili, spinti lo scorso anno dall’esonero contributivo totale per tre anni concesso dal governo ai datori di lavoro. Nel primo semestre di quest’anno, con lo sgravio ridotto al 40%, sono stati solo 650mila, 326mila in meno (-33,4%) rispetto allo stesso periodo del 2015. Stesso discorso per le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine, che sono calate del 37% (150mila contro 238mila). A chiedere la fruizione dell’esonero contributivo sono stati 252.046 datori di lavoro. Le assunzioni a tempo indeterminato sono risultate inferiori anche a quelle censite nei primi sei mesi del 2014, che furono 700.788.
Il saldo tra assunzioni e cessazioni, sempre nei primi sei mesi, è stati pari a +516mila, inferiore a quello dello stesso periodo del 2015 (+628mila) ma superiore a quello registrato nei primi sei mesi del 2014 (+423mila). Le cessazioni sono state poco più di 2 milioni, contro i 2,2 milioni del primo semestre 2015.
Intanto prosegue il boom dei voucher, “nuova frontiera del precariato” perché sono pensati per retribuire il lavoro accessorio ma spesso vengono usati per retribuire persone che non hanno altri redditi e – come denunciato dal presidente Inps Tito Boeri e ammesso dallo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti – non di rado mascherano lavoro nero. Nel periodo gennaio-giugno 2016 ne sono stati venduti 69,9 milioni, con un incremento, rispetto al primo semestre 2015, del +40,1%. Diminuisce solo il ritmo di crescita, visto che la prima metà dello scorso anno aveva visto un’impennata del 74,7% del ricorso a questi strumenti. Sui quali a giugno il governo è intervenuto per decreto imponendo ai committenti, se si tratta di imprenditori non agricoli o professionisti, di comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione almeno 60 minuti prima dell’inizio. Maglie più larghe per gli imprenditori agricoli, che possono comunicare i dati “con riferimento ad un arco temporale non superiore a 7 giorni”.
Infine gli stipendi iniziali: tra i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato si riduce la quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro rispetto a quanto osservato per il corrispondente periodo 2015. Stando ai dati Inps, il 23,3% dei nuovi assunti stabili prende da 1.251 a 1.500 euro e il 22,3% da 1.501 a 1.750 euro, contro, rispettivamente, il 25,5 e il 23,3% dell’anno prima.