La vittoria a un concorso per giovani band dà ai Pop James, quartetto proveniente da Novara, formato da Giulio Tosatti (elettronica, percussioni) Benedetto Degli Innocenti (basso, tastiera, elettronica) Konstantin Gukov (chitarra) Riccardo Milo (voce), l’opportunità di incidere il loro album d’esordio Super Power Super Quiet, un titolo ispirato a una scritta trovata su un condizionatore, per un album che è una ventata d’aria freschissima nella produzione Made in Italy.
Composto da otto brani da cui emergono suggestioni variegate dovute in primo luogo alle diverse radici musicali dei membri del gruppo – dall’ipnotica lounge-house di Afromoon alla fusion afrocubana di Rais Montura, dal drum’n’bass di Acquario al pop di Da Space e di Monica – è un genere, il loro, che la band definisce electro-fusion, anche se applicare terminologie di questi tempi è sempre un po’ delicato. Le influenze, infatti, sono disparate, a partire dal nome Pop James, che è un omaggio a un compositore autore di memorabili brani smooth jazz che ha influenzato nelle sonorità la scena Hip Hop old school, ovvero Bob James. “È stato campionato milioni di volte e in lui abbiamo riconosciuto una fonte di ispirazione molto alta – racconta Benedetto Degli Innocenti. Volevamo fare un album che richiamasse l’immaginario della musica che preferiamo, quello dei gruppi fusion anni 70 e 80 o funky che uscivano con copertine super colorate”. Ambizioso quanto intrigante, è un disco che va perlustrato in profondità per le atmosfere che è in grado di creare: qui di seguito trovate l’intervista completa al bassista della band.
La prima domanda è semplice e un po’ banale: perché avete deciso di custodire il cd in una cover adatta ai 45 giri?
Il punto è che volevamo fare un prodotto economico, che però potesse richiamare l’immaginario dei nostri gruppi preferiti, perché noi ci ispiriamo a gruppi fusion anni 70 e 80 e a roba funky dalle copertine super colorate. Per questo album volevamo un’opera in olio su tela che richiamasse le cover dei Weather Report, di Herbie Hancock, spesso surreali o spaziali, sempre colorate, o in stile Abraxas di Santana a opera di Mati Klarwein. C’è questa nuvola con la faccina che soffia su uno sfondo colorato, per un’opera astratta.
A chi vi ispirate maggiormente oltre a Bob James da cui avete ripreso anche il nome?
La nostra ispirazione viaggia su due binari: uno è quello della scena elettronica legata all’uso dello strumento. I gruppi che citiamo sono i Little Dragon e i SBTRKT. Poi i Mod Selektor e Jamie XX. Mentre l’altro è legato al nostro interesse di mantenere un link con la scena che c’è stata verso la fine degli anni 70, con la fusion, con la musica che si rifaceva all’Africa e ad artisti come come Fela Kuti.
Mi parli di come è nato questo disco, da cui emerge uno spirito di gioia e divertimento, e da cosa sono stati ispirati i brani che lo compongono?
Il titolo è la prima cosa che è nata del disco, prima ancora che si pensasse di realizzarlo. Deriva da una scritta che abbiamo trovato su un condizionatore a casa del percussionista, con il simbolo della nuvoletta che c’è sulla copertina. Abbiamo pensato che richiamasse il nostro stile e un gusto da pubblicità anni 90, un decennio che teniamo molto in considerazione. Siamo nati nel 2012 e alcuni brani sono stati scritti proprio agli inizi della nostra attività. Afromoon e Da Space facevano parte di una colonna sonora di una fiaba sonora interattiva per bambini. Prodotti che erano pensati per l’infanzia, dunque. Il resto del disco sono brani nati negli anni successivi.
Nella vostra musica c’è ricerca e profondità: di cosa parlano le canzoni?
I testi delle canzoni servono a creare le atmosfere, sono descrittivi, non hanno un significato concreto, non raccontano vicende, ma aiutano a catapultarti in un certo ambiente. In Afromoon infatti si parla di sciamani, di riti voodoo, c’è sempre il bisogno di creare un immaginario che sia un po’ ingenuo, naïve, un po’ ludico e demenziale. Certo, giochiamo con gli stereotipi ma senza però essere scontati.
Voi cantate in inglese, c’è un unico brano, Monica, cantato in italiano.
È l’unico pezzo in cui è nata prima la melodia e poi tutto il resto. Lo consideriamo come un esperimento perché nella stesura di questo brano abbiamo seguito il processo inverso che osserviamo di solito. Generalmente partiamo dalla fase strumentale e solo in seguito ci mettiamo su la melodia e il resto. È un processo non proprio facilissimo, Monica invece è nato piano e voce e ci sembrava funzionale anche in italiano.
Chi è Monica?
È una ragazza con cui ho avuto a che fare…
Con quale criterio scegliete i titoli per i brani?
Anche qui c’è un aspetto giocoso che prevale su tutto. Ad esempio Rais Montura, è un titolo un po’ volgare, perché tradotto in italiano significa “radice del culo” dal cubano. Questo brano è nato dopo la trasferta del nostro percussionista a Cuba, molti brani sono nati così, dopo viaggi. Andando a cogliere le essenze di un posto, di un luogo. È un disco che richiama un po’ Stromae, c’è anche un’influenza pop mainstream.
Dal reggae si passa al drum and bass, alla lounge music e fusion: qual è la definizione più adatta al vostro genere?
Noi lo definiamo electro-fusion, anche se applicare terminologie di questi tempi è un po’ delicato. Le influenze infatti sono molto più mescolate. Ci chiamiamo Pop James in onore di Bob James, uno che è stato campionato milioni di volte con il brano Nautilus. Abbiamo riconosciuto in lui una fonte di ispirazione molto alta.