Il racconto di disastri senza tempo come il terremoto che ha raso al suolo storie di persone, famiglie e di paesi nel cuore dell’Italia – bello e un po’ sottovalutato – fa sempre un po’ fatica con la parola scritta: solo i fuoriclasse ci riescono, e nei giornali qualcuno ce n’è. Le immagini, però, hanno molti più watt per arrivare alla testa di chi legge. Una foto può essere meglio di un editoriale, come si dice. Sarà perché è a metà tra l’emozione che può trasmettere il racconto scritto e l’immediatezza, la fruibilità diretta di un filmato. La foto può dare “senso”, un taglio, una chiave a una storia, proprio come un articolo di giornale. Ma ha il vantaggio di essere un lampo, un flash appunto, che taglia tutto il superfluo, anche la retorica, lascia solo quello che è importante.
(Immagini Sky – Sky TG24 è disponibile sui canali 100 e 500 di Sky e sul canale 50 del digitale terrestre)
Così, nel dramma senza orizzonte dell’ennesimo sisma che scuote Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo, anche chi è indurito e quasi privato di istinti di sorpresa a causa di un lavoro strano come quello del giornalista si scopre commosso dal video di SkyTg24 in cui Giorgia, 8 anni, capelli rossi, in pigiama, viene tirata fuori da un buco, nero e pieno di polvere.
Oppure resta fulminato da uno scatto del fotografo dell’Ansa Massimo Percossi che ritrae una suora, seduta di traverso su una scala appoggiata a terra, malconcia, con la fronte insanguinata, che spossata dall’emergenza prova a usare il suo cellulare. O ancora quella di un abitante che china la fronte sul braccio, appoggiato a un muretto, disperato perché probabilmente ha perso tutto quello che aveva, pezzi di vita e pezzi di futuro.
Eppure la foto iconica di quest’altra tragedia è un’altra. E’ un abbraccio tra un vigile del fuoco – 45-50 anni, sudato, la divisa impolverata – e l’uomo ritenuto più potente d’Italia, il presidente del Consiglio pro tempore.
Il pompiere sembra avvolgere il capo del governo, gli passa il braccio sopra alla spalla: sembra aggrapparsi come a un salvagente e, insieme, avvertirlo – con quella sua fisicità – di una legge fraterna, di una lealtà che non si può rompere, di un patto che il presidente non può tradire. “Allora siamo d’accordo, vero?”. E dall’altra parte il capo del presidente del Consiglio non si ritrae, afferra l’omaccione con tutt’e due le mani, chiude gli occhi, che sembrano gonfi: sembra colpito, imbarazzato, ma finalmente a casa, compreso. “Non so cosa dire”.
E’ una foto simbolica perché mette allo stesso livello chi scava con le mani per cercare qualcuno da salvare dopo 36 ore mentre si continua a tirare fuori solo cadaveri e chi, dall’altra parte, è chiamato a rispondere dal livello più alto alle richieste di aiuto di paesi polverizzati, fino a diventare il bersaglio di qualsiasi disperazione e di qualsiasi rabbia (come sempre, chi governa ha tutte le colpe, anche di un terremoto. Le cause politiche di disastri come questo ci sono, ma è complicato infilarle nei 30 mesi in cui ha governato Matteo Renzi). Il dolore straziante, che toglie il fiato, unisce due mondi che sono paralleli, che sembrano spesso destinati a non incrociarsi mai. Il servitore dello Stato – maltrattato – e il croupier della politica, che decide lui di cosa parlare e cosa fare e come. In quell’abbraccio entrambi hanno ricordato da lontano quella religione civile che in Francia o negli Stati Uniti hanno costruito da secoli e che l’Italia spesso ha solo sognato di notte.
Quella è una foto simbolica e sincera: nonostante sia scattata dal fotografo ufficiale di Palazzo Chigi (Tiberio Barchielli) e nonostante Renzi solitamente usi i mezzi di comunicazione in modo più astuto e più raffinato di Berlusconi (un po’ alla Frank Underwood).
E nonostante anche fosse un po’ un déjà-vu: Renzi aveva già voluto abbracciare altri vigili del fuoco durante i soccorsi, altrettanto strazianti, per l’incidente ferroviario tra Andria e Corato, in Puglia, solo un mese e mezzo fa.
Da nessuna parte è uscito, per il momento, il contenuto del colloquio tra il presidente del Consiglio e quel pompiere. Ma quell’abbraccio i vigili del fuoco se lo meritavano, ad Andria e anche ad Amatrice. E prima ancora per le alluvioni che mettono in ginocchio l’Italia ogni 8 mesi, nei terremoti che hanno ferito il Paese ogni 3-4 anni, negli incendi che ogni estate mandano in fumo pezzi di verde. Ma quell’abbraccio autentico, quella bella foto, ha un senso, davvero assomiglia a uno spirito di comunità e a un patrimonio di valori condiviso, se non si limita al giorno delle lacrime, ma diventa uno scambio nel quale nessuno dei due – il servitore dello Stato e lo Stato – si azzarda a rompere il vincolo di lealtà. “Allora siamo d’accordo, vero?”.
Finora – Renzi lo sa – non è stato così. Finora la politica ha trattato i vigili del fuoco come un corpo di Stato di serie B. Lo ha raccontato su questo giornale, qualche tempo fa (ma purtroppo è una questione immobile), Stefano De Agostini: l’età media dei pompieri supera i 50 anni, sono oltre 3mila in meno dell’organico previsto, il turn-over è bloccato, gli stipendi sono inferiori a quelli dei poliziotti anche di 700 euro, le pensioni idem, gli straordinari a volte arrivano dopo mesi, i mezzi sono spesso fermi perché non ci sono soldi per ripararli e quando vengono riparati è per la buona volontà di qualche pompiere che sa di meccanica. In Puglia, ha raccontato qui Mary Tota, le unità cinofile si comprano i cani. Nel frattempo – mentre tutti li ignorano – rischiano la vita per le alluvioni, per gli incendi, per i terremoti. Salvano vite in mezzo ai boschi, in mezzo alle macerie, in mezzo al mare, in mezzo a fiumi e laghi, sui tetti delle case, negli scantinati, in cima alle montagne, in un buco nella terra. E poi corsi di aggiornamento, addestramenti, nuove tecniche di soccorso, ricerca, salvataggio, recupero, gestione delle emergenze.
Sono tutti diversi e tutti sono uguali: non dicono mai di no. Reperibili, di riposo, a fine turno, non dicono mai di no. Sono in pensione e si sentono ancora pompieri. Fanno silenzio, come ad Amatrice mentre cercano di sentire il sospiro di qualcuno sotto le macerie, e lavorano con competenza e coscienza, fondendo il cuore con la testa. Fino all’ultimo turno prima di andare in pensione (modesta), come uno dei tanti che chi scrive ha conosciuto per lavoro: 5 minuti prima del suo ultimo turno prima del riposo, la sera del 29 giugno 2009, il caporeparto di Livorno Roberto Tessari rispose a una telefonata dei colleghi di Viareggio, dove un treno era appena deragliato con le sue cisterne di gpl. Rimase lì tutto il giorno successivo e anche di più.
I vigili del fuoco la loro parte di quell’accordo con lo Stato l’hanno sempre onorata. Lo Stato no. Tocca a Renzi. Altrimenti quella fotografia sarà quello che per il momento non è: un trucchetto televisivo.