Qualche giorno fa sulla spiaggia di Nizza alcuni agenti di polizia hanno multato e fatto spogliare una donna che indossava un paio di leggings, una maglia a maniche lunghe ed un foulard. Non era neppure un burkini e lei stava beatamente sonnecchiando prima che, in presenza di indifferenti o partecipi – in senso razzista – villeggianti, gli agenti la sottoponessero ad una vera e propria umiliazione pubblica. Il sindaco di Nizza fa sapere che chi ha divulgato le foto sarà denunciato. Non solo l’atto di crudele autoritarismo ma bisogna assistere anche alla censura.

In realtà niente e nessuno può fermare la diffusione di quelle foto che hanno fatto il giro del mondo con molteplici effetti. Non solo: proprio in queste ore si sa che il Consiglio di Stato francese ha sospeso il divieto di indossare il burkini, dopo la richiesta della Lega dei Diritti Umani che ha chiaramente parlato di violazione delle libertà civili.

In alcune città del mondo in questi giorni si erano comunque registrati atti di solidarietà, manifestazioni di integrazione culturale e civiltà. In Francia hanno alzato la voce donne che sono stanche di essere maltrattate da anni. Circola un video del 2012 dove si vede una donna con lo hijab che viene cacciata via da una piazza di Parigi.

Senza contare un famoso video di una “femminista” che parlava di violenza sulle donne da brava neocolonialista. Accadeva prima degli attentati, prima del terrorismo usato come pretesto per istigare sentimenti islamofobi.

Dunque è questo il vero volto dei liberatori d’occasione, i salvatori di donne oppresse. E’ questo l’attacco paternalista che alcune femministe, incluso quelle italiane, evocano fregandosene delle conseguenze, giacché quando si parla di divieti non si può davvero ignorare il fatto che queste sono le conseguenze. D’altronde basta pensare a quello che a Soho, Londra, accadde qualche anno fa quando in nome della liberazione delle prostitute la polizia fece sfilare, mettendole alla gogna, le sex workers, davanti a moraliste e benpensanti, per non parlare della manifestazione di donne che passò dal quartiere per sputare sulle sex workers accusate di complicità con il sistema patriarcale.

E di modalità non propriamente pacifiche, unite all’intervento di istituzioni patriarcali, con i divieti, le censure, le multe, la galera, ne abbiamo viste anche in Italia, dove molti sindaci usano ordinanze pro/decoro per marginalizzare le prostitute e ricacciarle in periferie buie e pericolose. Per il loro bene, naturalmente. Senza contare il fatto che questa persecuzione istituzionale, questa violenza “legale” è chiaramente finalizzata a beccare e espellere immigrate. E dell’intervento della polizia parlano anche quelle che vorrebbero “salvare” le donne che vogliono prestare l’utero per la gestazione per altri, con lo stesso pretesto di sempre. Omofobi in gran carriera saltano sul carro della lotta femminista e così sostengono la “liberazione” della donna pur di non vedere coppie gay a crescere figli.

“Non dobbiamo aver paura di essere definite razziste”, direbbe qualche femminista. “Non dobbiamo aver paura di essere definite omofobe”, diceva un’altra. E il punto non è di certo la reputazione di queste femministe che spostano la questione sul personale invece che restare a parlare di politica. Il punto è che le loro idee, prima che portare ad una critica politica sull’operato di queste femministe, porta a conseguenze precise contro le donne che dicono di voler salvare.

Bisogna imparare da quello che è accaduto a Nizza. Bisogna imparare da quello che è avvenuto a Soho. Certe femministe non sono affatto amiche delle donne ma intendono portare avanti la propria idea senza stare a sentire le donne che ne subiranno le conseguenze. Basterebbe soltanto ascoltare, leggere, tradurre, dato che alcune conoscono perfino le lingue straniere. Basterebbe leggere altro, a parte stare a sentire l’inutile eco delle proprie parole, perché le donne sono tante e diverse e nessuna, proprio nessuna, sa quel che è bene per l’altra. Nessuna può tra l’altro dirsi femminista se affida alle istituzioni e ai tutori patriarcali la “salvezza” delle donne. Che differenza c’è tra il padre padrone protettore di un tempo e un protettore istituzionale? Nessuna.

Unica possibilità che ci resta, piuttosto che negare il razzismo implicito in alcuni provvedimenti, è il rispetto della libertà di scelta e qualche lettura di femminismo intersezionale e femminismo postcoloniale che male non fa. Una tra le cose che insegna? Il fatto che la liberazione viene dalle stesse persone che vorranno liberarsi. Non si esporta democrazia con le bombe, prendendo a pretesto la liberazione delle donne afghane, e non si “salva” una donna respingendone le scelte e ricacciandola al buio, in casa, l’unico posto in cui la contaminazione reciproca e culturale che deve avvenire non avverrà mai.

Con tanta solidarietà alle donne “dell’Islam” che vivono in Francia e a quelle che vivono ovunque nel mondo. Perché esiste un femminismo islamico che non può essere negato da chi pratica femminismo neoliberista e coloniale. E poi, una domanda alle femministe antivelo: se domani vado al mare con maglietta e leggings e capo coperto, per non ustionarmi e non prendere una insolazione, sarò considerata una fuorilegge?

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