Entra nel vivo la guerra di potere delle Camere di Commercio. Ma il governo Renzi se ne lava le mani affidando alla Unioncamere di Ivan Lo Bello l’ingrato compito di stilare in sei mesi un piano di riorganizzazione lacrime e sangue. Il decreto di riassetto degli enti camerali, appena approvato in consiglio dei ministri, assegna infatti all’associazione l’incarico di individuare gli accorpamenti necessari per ridurre da 105 a 60 (-43%) il numero delle Camere di Commercio. L’operazione sarà tutt’altro che indolore dal momento che, secondo i sindacati, la riorganizzazione porterà in dote un migliaio di esuberi e comporterà un ridimensionamento dei servizi offerti alle imprese sul territorio. Di positivo, invece, c’è il fatto che la riforma taglierà il numero di poltrone (-30%) delle Camere di Commercio, enti che esercitano un ruolo politico ed economico importante in ogni angolo del territorio nazionale. Senza contare che abbatterà del 50% il contributo dovuto per legge dalle imprese. Per il governo si tratta però di due micro-obiettivi rispetto alle promesse di abolizione delle Camere di Commercio fatte tempo fa da Renzi alla Leopolda.
In compenso, per il settore, la riforma è un cambiamento epocale che il governo auspica da tempo senza tuttavia essere finora riuscito a cavare un ragno dal buco. Prova ne è il fatto che, durante il suo mandato, l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, non è riuscita ad imporre aggregazioni o fusioni fra piccole Camere di commercio come, ad esempio, quella fra Avellino e Benevento. Forse del resto è anche per questa ragione che la nuova gestione del ministro Carlo Calenda ha optato per affidare ad Unioncamere la gestione operativa del riassetto voluto dal governo.
Nonostante le premesse, il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, ha espresso un giudizio positivo sulla riforma e ha gettato acqua sul fuoco degli esuberi: la “riorganizzazione degli uffici derivante dagli accorpamenti sarà gestita senza traumi”, ha commentato subito dopo l’approvazione del decreto in consiglio dei ministri. Anche perché agli enti verranno affidati nuovi incarichi “in materia di orientamento, di alternanza scuola-lavoro, di supporto all’incontro fra domanda e offerta di lavoro”, sostiene una nota di Unioncamere. Nuove funzioni che, però, non si capisce come possano conciliarsi con un minore radicamento sul territorio e una riduzione degli introiti da diritti camerali. Salvo naturalmente, consistenti miglioramenti di efficienza che saranno premiati sulla base delle osservazioni di un apposito Comitato indipendente di valutazione delle performance istituito direttamente al ministero dello Sviluppo Economico.
Se per Lo Bello, quindi, la riforma è un “passaggio determinante di un percorso di modernizzazione che rafforzerà il sistema delle Camere di commercio italiane”, per i sindacati invece è solo uno stratagemma per effettuare “tagli lineari” producendo “un caos simile a quello avvenuto per il riordino delle province”. Complice il sistema di mobilità che potrebbe coinvolgere i dipendenti in esubero. Ecco perché Cgil, Cisl e Uil si sono impegnati a portare avanti una “forte mobilitazione che culminerà a settembre in una grande manifestazione nazionale” contro un decreto “sul quale – rimarcano i sindacati – il Governo in nessuna fase ha voluto avviare un confronto con i lavoratori”. L’impressione è insomma che la battaglia per il riassetto delle Camere di Commercio sia solo agli inizi. E che i risultati benefici della riforma non siano affatto scontati.