Le lacrime del fruttivendolo: “Merce in salvo? E a chi la vendo?”. Tutto agli sfollati
“Il mio lavoro ormai è perso. I miei clienti non so neppure se sono ancora vivi. L’ultima volta che sono stato ad Amatrice è stato appena martedì, poche ore prima del terremoto”.
Antonio Camacci è un fruttivendolo di
Arquata del Tronto e d’estate passava tra le case dei suoi compaesani e dei tanti turisti che salivano in queste montagne per vendere con il suo furgoncino.
Amatrice,
Accumoli,
Arquata e tutte le piccole frazioni, da anni il percorso di Antonio era sempre lo stesso. Lo stesso
che ha percorso il terremoto facendo, ad ora, 268 vittime. Ora, dopo le scosse, quei paesi non ci sono più mentre il capannone dei Camacci è in piedi, costruito con le
tecniche antisismiche. Ora è già diventato il deposito per le
derrate alimentari di una delle
tendopoli allestite per gli sfollati che si trova a pochi metri. “Ho dato le chiavi alla Protezione civile e gli ho detto che qui possono farci quello che vogliono. Mi hanno detto che mi davano dei
soldi, ma con tutti gli amici che ho perso io non voglio neppure parlare di soldi”
di David Marceddu e Giulia Zaccariello