da Treggiaia (PI)

“Ma l’Uomo Tigre ha in fondo un grande cuore, combatte solo per la libertà, difende i buoni, sa cos’è l’amore, il nostro eroe mai si perderà, ha tanti amici e grande è la bontà, ma col nemico non ha pietà”. (sigla “L’Uomo Tigre”)

La vecchiaia o la si affronta di petto, o si fugge, si scappa, ci si nasconde. Da una parte puoi sfiorare il ridicolo, dall’altra ti fai schiacciare, forse morire prima del tempo. Da una parte la partita non è finita finché l’arbitro non scandisce il suo triplice fischio, dall’altra sei già disteso e spossato e svuotato prima ancora di essere orizzontale. Filosofie diverse, opposte. Se essere leoni o pecore, questo è il dilemma esistenziale che morde le caviglie a due coetanei arrivati alla soglia della pensione (che non ci sarà), gente di mondo, gente di strada, artisti da matrimoni e cerimonie, cresime e battesimi, liscio e sagre, Feste de L’Unità e patroni cittadini. Gente che ha macinato migliaia di chilometri su e giù per le autostrade, gente che è tornata sempre tardi a casa e che conosce la notte a menadito ma alla luce del giorno tutto è più complicato e non ci sono le ombre per poter sfumare, ammantarsi, cercare uno sguardo, un’occhiata complice.

13880299_10205085377172464_8659228246178244918_nIn uno stesso corpo, “L’uomo tigre”- ndrea Kaemmerle si divide in due facce della stessa medaglia in equilibrio tra il pisano, l’ex cantante della band, e il romagnolo Oreste il tecnico di palco, due modi differenti e diametralmente contrapposti di intendere la terza età, la senilità, il declino. Uomini di razza che hanno suonato e vinto la notte, le donne, la malinconia, sempre bicchiere in mano e cicca in bocca, hanno sfidato ed avuto l’impressione di aver giocato a nascondino con le responsabilità, con i doveri e gli obblighi dell’età adulta, sempre eterni ragazzi a caccia dell’ultimo giro di giostra, dell’ultimo up, dell’ultimo bicchiere della staffa, dell’ultimo locale. E dopo una vita di autogrill e amori veloci e furtivi, di occhiaie e cocktail scadenti, di fegato e bruciori di stomaco sono gli anni che ti chiedono di fermarti e ti mostrano in conto. Salato.

Puoi stopparti ai box con l’illusione di rimetterti in sesto, salutista e temporeggiatore o puoi spingere ancora un po’, per l’ultima corsa, sull’acceleratore, tentando un ultimo giro veloce, un’ultima derapata, sterzando in contromano scalando veloce le marce del tempo fregandosene del consentito e del politicamente corretto. Se il cantante è sempre stato davanti al palco, frontman a fronteggiare accordi e assoli, stecche e sorrisi di tre quarti, il tecnico-factotum-manager è sempre stato nelle retrovie; adesso i ruoli si invertono: l’uomo di spettacolo traccia una linea e dice basta mentre l’uomo nell’ombra, l’organizzatore preciso e puntuale dai modi spicci ma efficaci vuol continuare la sarabanda di serate e valzer, di mazurca e feste rionali.

Sembra di avere davanti e sentire Tony Pisapia, il protagonista sia del film L’Uomo in più che del romanzo Hanno tutti ragione, entrambi a firma di Paolo Sorrentino. Il passato ritorna con sofferenza o con allegria, con patemi o con immaginazione colorita. I due personaggi allo specchio (continuum ideale di Lisciami, piece teatral-musicale dello stesso attore insieme al duo dei Gatti Mezzi), animati da un Kaemmerle se possibile ancor più languido e sanguigno del solito, malinconico e sbrecciato, di battute folgoranti e doppi passi sul filo dell’esistenza. O rinneghi gli eccessi e gli stravizi del passato pseudo glorioso oppure cerchi di cavalcare ancora il drago e pestare fin che ce n’è, impassibile dei segni logoranti del tempo, delle rughe, incurabile delle mode che hanno fatto il giro di boa e ancora devoto ad Elvis e dintorni. Si nasce farfalla e si muore bruchi. Si nasce incendiari e ci sotterrano pompieri. Prima rivoluzionari indefessi e alla fine conservatori impauriti.

“Senza età, il vento soffia la sua immagine nel vetro, dietro il bar gocce di pioggia, bufere d’amore ogni cosa passa e lascia. Canzoni e poesie, pugnali e parole, i tuoi ricordi sono vecchi ormai e i sogni di notte che chiedono amore cadono al mattino senza te, cammina da solo urlando ai lampioni, non resta che cantare ancora”. (Vinicio Capossela, “Scivola vai via”)

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