Con la creazione del più grande parco marino del pianeta Barack Obama chiude il suo ultimo mandato col botto, e se ne esce dalla Casa Bianca avendo impartito una spinta vigorosa alla conservazione degli oceani. A seguito della sua decisione, l’estensione del già imponente Papahānaumokuākea Marine National Monument, a suo tempo creato da G.W. Bush nel 2006, viene ora quadruplicata e supera il milione e mezzo di chilometri quadrati.
Il parco ospita migliaia di specie marine, un quarto delle quali endemiche, e molte minacciate e carismatiche come la foca monaca delle Hawaii. La lunga catena di atolli e piccole isole coralline che ne costituiscono la parte emersa è occupata stagionalmente da 14 milioni di uccelli marini che vi fanno il nido. Le caratteristiche naturali dell’arcipelago si combinano con le tradizioni cosmogoniche della cultura hawaiana pre-europea, in base alla quale sarebbe lì che si originò la vita sul pianeta.
Si tratta di un luogo magico, ancora quasi totalmente indenne dagli insulti del progresso umano, anche riconosciuto quale retaggio mondiale dell’umanità da parte dell’Unesco. Un luogo che conservo nella memoria con un’impressione indelebile di bellezza assoluta, malgrado i decenni passati da una visita fugace. Eppure, più ancora dell’atto di estendere reale protezione a questo gioiello del pianeta, è il significato politico della decisione di Obama a determinarne l’importanza: attribuendo la giusta attenzione – finalmente – alla necessità di tutelare il mare con tutta la forza e con l’eccezionale visibilità conferite dagli ultimi momenti di un mandato storico.
Una necessità nominalmente riconosciuta da tutti, per carità, e sancita tra gli altri dai Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, in base ai quali gli Stati del mondo si sono impegnati a tutelare il 10% dei mari e degli oceani entro il 2020. Peccato che si tratti di impegno soprattutto nominale, che ci tiene ancora lontani dall’obiettivo. Nel Mediterraneo per esempio per ora arriviamo a malapena al 6%, e questo solo se consideriamo nel novero delle aree marine protette il Santuario Pelagos – che tuttavia continua a ricevere una tutela più che altro simbolica (senza Pelagos siamo a un misero 1,34%).
Dunque, malgrado la simpatia che possiamo provare per le accattivanti foche monache delle Hawaii, che navigano in pericolo critico di estinzione, ritengo che sia il segnale politico dell’atto di Obama che meriti di essere considerato con la massima importanza. L’istituzione del parco verrà da lui stesso annunciata a Honolulu all’inaugurazione del Congresso Mondiale della Conservazione, dove convergeremo mercoledì prossimo da tutte le parti del pianeta. Nella speranza che tale atto costituisca un esempio e uno stimolo per tutti i leader mondiali, molti dei quali, a quanto pare, sembrano essersi dimenticati che esista un mare nell’assoluta e urgente necessità di essere protetto. Chi ha orecchi per intendere, intenda.