La Corte di Cassazione ha confermato la pena a cinque anni carico di Salvatore Esposito, il comandante della portacontainer lunga 300 metri Eleni, che la mattina del tre agosto del 2007 non esitò a navigare ad appena 2 miglia e mezzo dalla costa affondando in due minuti la motonave oceanografica Thetis e non prestando soccorsi
Travolse e affondò una motonave oceanografica del Cnr, mentre navigava inspiegabilmente sottocosta con la sua nave portacontainer. E poi non prestò nemmeno soccorso ai naufraghi. Il motivo? Voleva avere campo per usare il cellulare. È per questo che la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni di carcere a carico di Salvatore Esposito, il comandante della nave portacontainer lunga 300 metri Eleni, armata dalla Mediterranean Shipping Company, che la mattina del tre agosto del 2007, non esitò a navigare sottocosta, tra “consistenti banchi di nebbia“, nelle acque di Mazara del Vallo travolgendo e affondando in due minuti la motonave oceanografica del Cnr Thetis, di 32 metri, fuggendo senza prestare soccorso.
Confermando le condanne per naufragio colposo, omicidio colposo, lesioni personali colpose ed omessa assistenza in mare, la Suprema corte spiega che Esposito ha modificato la rotta dell’imponente motonave rimanendo “ad appena” 2 miglia e mezzo dalla costa “al fine di consentire al cellulare privato di avere campo, tenendo velocità eccessiva e comunque incongrua in relazione alle condizioni meteo e alla presenza di numerose piccole imbarcazioni in radar, ignorando le risultanze del radar di bordo, peraltro potente, sofisticato e di immediata lettura, il cui allarme sonoro era stato disattivato”.
Per annegamento, morì il ricercatore russo Petr Mikheychik, studioso molto conosciuto, mentre riuscirono a sopravvivere, nonostante le ferite e lo choc, gli altri otto ricercatori e i sei membri dell’equipaggio. La Cassazione definisce “folle” e “dettato da futili motivi” il comportamento di Esposito, dato che lo stesso comandante spiegò di aver approntato “la spregiudicata manovra di evitamento” alla luce della “cinica regola” in base alla quale “‘pesce grosso mangia pesce piccolo”. Agli uomini in mare della Thetis, Esposito non gettò nemmeno un salvagente, “anzi si allontanò per sfuggire alle proprie responsabilità”, scrivono i giudici della Quarta sezione penale che si occupa di disastri, nella sentenza depositata ieri. Per i magistrati questo incidente di “devastante gravità” rappresenta un “caso di scuola nel quale la concretizzazione del rischio emerge con nitida evidenza”.
La decisione presa dagli ermellini lo scorso 27 giugno, mette dunque il bollo la sentenza pronunciata dalla corte di Appello di Palermo l’8 maggio del 2015: nel processo di secondo gradi, il pm aveva chiesto la condanna di Esposito a 13 anni di reclusione. Per sette naufraghi del Thesis, i giudici civili dell’appello dovranno determinare l’entità del risarcimento per il solo danno patrimoniale per l’assenza di postumi permanenti.