“La cosa che più mi ha colpito del Portogallo è la grande fiducia che viene data ai giovani”. Elisa, architetto milanese di 31 anni, è arrivata a Lisbona per motivi di studio, durante il periodo dell’università. Ma all’epoca non pensava che ci sarebbe rimasta a lungo e per qualcosa di molto diverso. Dall’incontro con altri tre ragazzi italiani, a gennaio 2015 nasce Mani in Pasta, un progetto che vuole esportare nella capitale portoghese la tradizione della cucina italiana, insegnando l’arte della pasta fresca. Per strada, nei quartieri più nascosti, inediti e popolari della città.
A portare avanti l’attività, accanto ad Elisa, c’è Valentina, 30enne molisana, architetto anche lei, alle spalle un master a Milano e una collaborazione con un importante museo di Roma. Poi l’arrivo in Portogallo. Qui entrambe vengono catturate dall’”aria piena di creatività che si respira nel Paese, dalla disponibilità delle persone, ma soprattutto dal grande spazio che i giovani hanno per sviluppare i loro progetti. Qualcosa di molto raro in Italia – continua Elisa -. Per mettere a punto la nostra idea abbiamo bussato a diverse porte e tutti sono stati pronti ad aiutarci, a partire dai professionisti. Anche la collaborazione fra giovani è tanta. In Italia, purtroppo, non è lo stesso”.
“A Lisbona i giovani hanno molto spazio per realizzare i loro progetti”
Elisa e Valentina scoprono così una Lisbona creativa, solidale, ambiziosa e genuina, un terreno fertile per start-up e giovani imprenditori. Nel settore c’è già chi la chiama “la nuova Berlino”: “Lisbona è una delle poche città che ti offre tutti i vantaggi di una capitale europea, con una qualità della vita alta, a costi contenuti”, conferma Elisa. E’ in questo clima, dove la burocrazia è più snella, che nasce l’idea di mettere su un progetto basato su una grande passione comune: il cibo italiano, le sue tradizioni e la sua dimensione conviviale. “Organizzando cene per gli amici, ci siamo pian piano rese conto di quanto ci mancassero i manicaretti delle nostre nonne. Per questo abbiamo deciso di far qualcosa di concreto per condividere e valorizzare un patrimonio immateriale di ricette e tecniche che rischiano di scomparire”. Tutto con prodotti rigorosamente locali e a chilometro zero.
Così, Elisa e Valentina lasciano i rispettivi lavori da architetto e decidono di investire tutto nella loro idea. “Quello che facciamo è organizzare eventi itineranti in città, scegliendo spazi non convenzionali per il convivio, come atelier, negozi o semplicemente strade nascoste”, racconta Elisa. “Per ogni occasione scegliamo un tipo di pasta e ne approfondiamo storia e grafica: tortellini, spaghetti alla chitarra, gnocchi, ravioli. E i partecipanti impastano insieme a noi”. Quello che piace del loro progetto sono l’atmosfera e la bontà del cibo. E la capacità di far scoprire posti inediti e sconosciuti agli stessi abitanti della città.
“Per ogni occasione scegliamo un tipo di pasta e ne approfondiamo storia e grafica, dai tortellini ai ravioli. E i partecipanti impastano insieme a noi”
“La nostra ambizione non è diventare chef esperte – dice Elisa -. Del resto non abbiamo mai seguito un corso di cucina, se non quello delle nostre mamme e nonne. In generale il nostro approccio alla cucina è a metà strada tra quello sociale e pop di Chef Rubio (che è stato anche protagonista di un evento Mani in Pasta a Lisbona, ndr) e quello più estetico e intellettuale di Massimo Bottura”.
Finora Elisa e Valentina non hanno ricevuto alcun tipo di finanziamento, solo uno sponsor per la farina, unico ingrediente italiano usato per la preparazione dei piatti. L’obiettivo è quello di arrivare ad un livello di sostenibilità che permetta di allargare il progetto ad altre risorse e, perché no, espanderlo in altre capitali. Un primo passo è la linea di food design, nata come spin off di Mani in Pasta, che ripropone giochi di parole associati al cibo.
Dell’Italia, a parte ricette e tradizione, rimane la consapevolezza “che un progetto simile nel nostro Paese non sarebbe mai stato possibile. Lo spazio per i giovani – conclude Elisa – è veramente poco ed è forse per questo che molti vanno via. Dal punto di vista professionale tornare in Italia è impossibile. Mancano stimoli e opportunità”.