“Salve, ci risulta che il banner e il sito per la campagna della fertilità sul vostro sito non siano più funzionanti. E’ così?”. “Guardi, non so neanche di cosa stia parlando, io ieri non c’ero”. “E’ da due giorni che i giornali non parlano d’altro, dovrebbe essere informata. E comunque avrà qualche collega che può dirmelo”. “No, non ne so niente di questa campagna. Che non funziona – il banner, vero? – me lo dice lei. Se vuole mi mandi una mail con la richiesta”.
Dal Ministero di Beatrice Lorenzin nessun chiarimento sul sito non funzionante del Fertilityday2016, la campagna per contrastare la denatalità e ricordare agli italiani “la bellezza della maternità e paternità“. C’è soltanto una pagina di cortesia con il logo. Zero spiegazioni. Il blocco è arrivato nel pomeriggio del 31 agosto e sulla relativa pagina Facebook è comparso il messaggio: “Il #fertilityday intende informare i cittadini, soprattutto i più giovani, sui pericoli che mettono a rischio la fertilità sia maschile che femminile. Dalle ore 14.00 il sito www.fertilityday2016.it e gli articoli in esso contenuti non sono raggiungibili per un problema al server. Stiamo lavorando per ripristinare il link il prima possibile”.
Il sito non funziona (ancora) e non si sa perché, ma in rete continuano a susseguirsi le opinioni di centinaia di utenti contrari alla campagna. Soprattutto donne, che ricordano al Ministro quanto l’assenza di lavoro e welfare siano in testa ai motivi che costringono a rinunciare o a rimandare la maternità. E che tante persone che vorrebbero avere figli purtroppo non possono. “Qualche buona idea per difendere la fertilità – suggerisce Gaia su Facebook -: un Welfare migliore, datori di lavoro che ti assumono anche se sei donna e fertile, datori di lavoro che non ti costringono a licenziati se sei incinta o dopo il parto, asili nido statali e numerosi, asili nelle aziende. Ma va beh. Cose che non si faranno mai perché queste giornate inutili costano meno, fanno chic e non impegnano”. E ancora, Mara: “Pensate alla disoccupazione, prima. Tutelate le donne in maternità. Tutelate le donne, punto. Siamo precarie, disoccupate, mobbizzate. Siamo costrette ad aspettare. A procrastinare. E oltre al danno, anche la beffa”.
Una campagna che è “aberrante” per l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) e sulla quale, dopo il premier Matteo Renzi, interviene anche il leader della sinistra Pd Roberto Speranza. “In Italia si fanno pochi figli – ha scritto su Facebook – È un tema vero. Ma non può essere affrontato con una campagna retrograda che esprime un’idea sbagliata e offensiva nei confronti di donne, uomini e famiglie. Se vogliamo affrontarlo seriamente – aggiunge – dobbiamo innanzitutto batterci contro l’insicurezza sociale e la paura del futuro che sono la prima ragione per cui in tanti non se la sentono di mettere al mondo un figlio. E poi dobbiamo garantire maggiore sostegno alle tante coppie che hanno difficoltà ad avere figli e che in Italia sono costrette ad affrontare troppi ostacoli“.
Innesca la polemica sui costi, invece, il senatore del Pd Stefano Esposito: “Il silenzio è la cosa migliore, ma vi invito a scavare e a scoprire qual è la società di comunicazione che si è inventata questa stronzata e quanto l’abbiamo pagata – ha detto ai microfoni di Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università Niccolò Cusano -. Circa 150-200mila euro. Il mio primo figlio è nato attraverso la fecondazione assistita. Questo è un tema serio, di una drammaticità che non può essere banalizzata in questo modo. Io l’ho vissuta in prima persona. Serve più sensibilità e meno banalizzazione. Ci è costata circa 200mila euro. Sarebbe interessante sapere se hanno fatto almeno una gara d’appalto”.