Un giorno qualcuno scriverà il libro, all’interno del quale, mancheranno tutte le risposte alle domande essenziali della vita. Sarà un best seller! Finalmente code chilometriche e accampamenti notturni, negli spazi antistanti alle librerie, anziché a quelle dei rivenditori dell’ultimo modello di smartphone, tablet o personal computer.
Al momento, questo libro non ha ancora il suo autore e, nonostante siamo sicuramente in tanti a volerlo, dobbiamo accontentarci di aspettarlo e continuare a fare la fila e andare in ansia per le solite cose, per le quali siamo maestri nell’andare in fibrillazione, unici argomenti da insegnare nei quali a scarseggiare sono sempre gli allievi, tanto su cui poter istruire e così ben poco da apprendere.
L’essere umano è il miglior generatore d’ansia presente sul mercato, efficiente, non manca un colpo e non teme la concorrenza di altre forme di vita a noi conosciute, quelle sconosciute, per ora almeno, sembrano non avere troppa fretta di incontrarci. “Fortuna” che talvolta arriva, ad esempio, un terremoto tra capo e collo, e aiuta a ridimensionare molti dei problemi che ci assillano.
Incatenati dal soggettivo, poiché il nostro punto di vista è sempre prioritario, cerchiamo costantemente l’oggettivo, in quanto pretesa di verità, ma la verità è la più abusata tra tutte le parole, dovesse mai voler pareggiare i conti, saremmo di certo rovinati. Il consiglio è di non stuzzicarla troppo, non c’è gabbia dalla quale essa non sia in grado di fuggire e attaccare, quando meno ve lo aspettate.
Vi dico questo perché il tema di questo post è l’ironia. Cos’è l’ironia se non il volto presentabile della profondità? Ironia è fronteggiare il tragico convertendolo in un sorriso, significa rinunciare a parte del dolore per immolarlo all’altare della nostra salute mentale. Prendiamo dal disagio una giusta distanza, ce ne stacchiamo quel tanto che basta da guardarlo in faccia, mantenendoci comunque in sua prossimità. L’ironia ci salva dai nostri demoni, ripulendoli dallo zolfo, dando loro possibilità di esprimersi, senza che questo implichi necessariamente annullare e annullarsi per non sentire.
Per essere ironici quindi bisogna aver sofferto? Io credo proprio di sì, la profondità ha un rapporto di dipendenza diretta dal dolore. Non che qualcuno abbia possibilità di sfuggire, nell’arco della propria vita, a un certo grado di sofferenza, ma ci sono limiti che, se superati, trovano da soli il modo di esprimersi e purtroppo non sempre al meglio, come ho scritto, l’ironia è il volto presentabile della profondità, non l’unico.
Soffrire è condizione necessaria, ma non sufficiente perché l’ironia diventi propria compagna di battaglia. Un minimo, probabilmente, conta anche una certa predisposizione, se il terreno non è fertile, non è quello che vi si pianta a renderlo poi tale. Per avere possibilità di fronteggiare il malessere bisogna trovarcisi di fronte, dialogarci. Non è il sentito dire o l’aver visto che fa la differenza, è l’aver vissuto in prima persona, essere stato in trincea.
Attenti che dall’ironia il passaggio al sarcasmo può essere veloce, ma sono due cose diverse, non confondetele. Chi sa essere ironico, qualora l’oggetto della sua ironia susciti, in lui, poca simpatia o comunque vi abbia questioni irrisolte, può diventare sarcastico, senza neanche rendersene conto, quindi diventare pungente, amaro e con volontà di ferire, anche se, bisogna ammettere, che essere stronzetti, ogni tanto, può essere lenitivo, nocivo è farne un’abitudine. Moderate le dosi e più difficilmente avrete da pentirvene. Non ci sono regole, ma state tranquilli che la normalità è solo la fantasia di qualche buontempone, anche se i suoi spacciatori si trovano ormai in ogni angolo a venderla, a prezzi irrisori, per crearvi dipendenza. Non cascateci e denunciateli alle autorità competenti che da sempre fanno capo al miglior intelletto.
Vignetta di Pietro Vanessi