Dopo soli 74 giorni al Comune di Roma si apre la crisi politica più grave e dagli effetti, come presto vedremo, imprevedibili. Se Virginia Raggi in meno di tre mesi si trova a dover rimpiazzare tre capi di gabinetto, un assessore, due manager dell’Ama e uno dell’Atac manifesta oltre ogni previsione un’inadeguatezza e un livello di approssimazione nelle scelte e nella definizione del suo staff allarmanti.
Più di tutti a destare preoccupazione sono le dimissioni di Marcello Minenna da assessore al Bilancio e al Patrimonio. La senatrice Paola Taverna l’ha definita giustamente una “perdita gigante”. Minenna infatti è un tecnico indipendente di altissimo valore, stimato in Italia e all’estero per le sue capacità, con un curriculum che in Italia è oramai difficile reperire e soprattutto l’unico che conosca fin nei dettagli, avendo lavorato alla due diligence nel periodo di Tronca commissario, il pietoso e dissestato bilancio capitolino.
Chiunque andrà al suo posto non potrà eguagliare il livello di competenza e di relazioni. Ma soprattutto: chi andrà al suo posto? Chi accetterà di imbarcarsi in una avventura dagli esiti così incerti e dal respiro così corto?
Il Movimento paga lo scotto della propria fragilità politica che si rispecchia nell’esile figura della sua sindaca alla quale è stato chiesto di assorbire e riequilibrare pressioni interne spesso spropositate e opposte: quelle dei fedelissimi, dei compagni di strada, militanti magari appassionati ma assolutamente inesperti, e le altre dei dirigenti nazionali. I primi a sostenere proposte, indicare nomi e soluzioni alternative e spesso confliggenti con quelle del cosiddetto staff. In queste ore il silenzio assordante dei Di Maio e dei Di Battista, sui quali pesa l’onere di rappresentare la linea politica e difendere il Campidoglio nel suo percorso di fuoco, produce la convinzione che la condizione in cui versa la giunta sia insieme imbarazzante e pericolosa.
E’ vero che il consenso di cui gode la giunta è ancora esteso, la fiducia dei romani non è già fuggita via. Ma quel consenso, necessario ad affrontare prove di governo e scelte difficili (più di tutte la rinuncia alle Olimpiadi), diviene quasi irrilevante se la maggioranza invece di badare a risolvere i problemi grandissimi della Capitale è impegnata quasi ininterrottamente a mediare tra gruppi e sottogruppi. Con quale lucidità, con quale capacità e soprattutto con quale resistenza Virginia Raggi potrà affrontare l’inverno?
La fretta (e a volte l’ambizione) fa i gattini ciechi. Casaleggio, come riportano le cronache dei mesi scorsi di questo giornale, paventò in via riservata ma in più di una occasione, l’ipotesi che la selezione del candidato a primo cittadino avvenisse su base nazionale, allargando lo spettro delle personalità e della forza con la quale il Movimento si sarebbe presentato alla sua prova cruciale. Idea subito accantonata, ma – col senno di poi – nient’affatto peregrina.
Oggi questa crisi ha un costo enorme e un esito non scontato. E pesa, forse persino oltre i propri demeriti, sulle spalle già fragili di Virginia Raggi.