Il redivivo fashion designer oramai dedicatosi alla regia firma un thriller sull’amore mancato e su una crudele vendetta risolutrice, tra l’agiata mercante d’arte di Los Angeles, Susan (Amy Adams), e il suo ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) che non vede da anni e che le ha appena spedito un pacco con all’interno il romanzo appena scritto
Rocky Balboa non se l’è inventato Sylvester Stallone. Il boxeur che ispirò il film vincitore dell’Oscar era in realtà The Bayonne Bleeder, all’anagrafe Chuck Wepner. Il pugile che rimase in piedi per un intero incontro, anzi fino a 19 secondi dalla fine, contro il fresco campione dei massimi Muhammad Alì, nel match di Cleveland del marzo 1975, appena dopo l’affermazione in mondovisione di Cassius Clay contro Foreman nello Zaire. Il campione dei Massimi del New Jersey, baffoni spioventi anni settanta e camicie coi colli a punta, rivive in The Bleeder, film appena passato, Fuori Concorso, a Venezia 73. Protagonista e produttore il sempre raffinato e sottovalutato Liev Schreiber, qui al Lido con la moglie Naomi Watts, a sua volta in coppia col marito nel film di Philippe Falardeau. Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci: The Bleeder non è un film che aggiunge nulla al filone dei titoli sulla boxe. Nessuna elaborazione tecnicamente concorrenziale sul ring, rallenty o macchine a mano, per superare il Jack LaMotta di Scorsese o l’Alì di Michael Mann.
Semmai siamo invece dalle parti di un delizioso biopic, sintetizzato con mestiere e rapidità dal canadese Falardeau (Monsieur Lazhar), concentrato sullo spaccato di vita dell’imponente Chuck, sull’improvvisa ascesa popolare dell’uomo qualunque e sulla sua immediata discesa nella normalità. Quindi niente tragedia o redenzione. Forse per questo la stampa a Venezia ha accolto con ingiusta indifferenza un godibilissimo film che permette di conoscere uno spaccato di vita corsa vicinissima ma parallela agli highlights della storia statunitense anni settanta. Wepner sfida e combatte con Alì, lo mette perfino al tappeto al nono round (anche se alcuni impietosi scatti fotografici in bianco e nero lo ritraggono mentre gli pesta un piede per fargli perdere l’equilibrio), poi ancora più clamorosamente quando la sua epopea di uomo qualunque diventano script e film di John G. Avildsen e Stallone alla conquista degli Oscar. Padre di famiglia bonaccione, ma anche molto farfallone, Chuck perde così la bussola e s’infila nel classico tunnel(lino) della spavalderia, sesso coca e splendida musica disco fine anni settanta. La moglie lo molla e lui tenta in tutti i modi, ma mai senza eccedere, senza aggredire o fare violenza su qualcuno (a parte quando lo chiamano ‘the bleeder’ inteso come colui che sul ring piscia molto sangue), di raggiungere il neodivo hollywoodiano che grida “Adriaaaana” per chiedergli il dovuto. Falardeau lascia la scena ad un contenuto e sincero Schreiber, rifiuta mitizzazione o commiserazione del personaggio, filma con capacità mimetica rendendo realistici interni ed esterni di 40 anni fa grazie anche all’abile rimescolamento di filmati d’epoca e sgranature digitali dell’oggi. “Ho voluto questo film sia perché mi piaceva l’atteggiamento aperto con cui Chuck ha affrontato la trappola del narcisismo, la passione di voler essere amati dagli altri, il credere ingenuamente alla menzogna della fama”, spiega Schrieber da Venezia. “Quando ho iniziato a lavorare al film ci siamo incontrati con Chuck e mentre cenavamo mi ha messo il suo enorme braccio attorno alle spalle e mi ha detto ‘Che film vuoi fare?”, racconta il regista Falardeau. “Allora gli ho detto che sarebbe stata la storia del declino di una persona, ma che poi ottiene una grande vittoria perché incontra la persona giusta nella vita (la barista interpretata da Naomi Watts) e prova vero amore. Chuck allora mi ha baciato sulla guancia e ha aggiunto ‘ Speriamo sia un film bello’”.
In Concorso a Venezia 73 Nocturnal Animals del redivivo fashion designer oramai dedicatosi alla regia, Tom Ford. Thriller sull’amore mancato e su una crudele vendetta risolutrice, tra l’agiata mercante d’arte di Los Angeles, Susan (Amy Adams), e il suo ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) che non vede da anni e che le ha appena spedito un pacco con all’interno il romanzo appena scritto. Susan, rimasta sola nella sua elegante casa, inizia a leggerlo. E’ il racconto di un uomo a cui tre folli texani uccidono moglie e figlia, con relativa detection di un tenente privo di scrupoli. La violenza e gli atti del racconto le rievocano momenti intimi della storia d’amore con Edward che lei aveva bruscamente troncato soprattutto per motivi classisti. Cercando di guardare dentro se stessa oltre la superficie patinata della sua esistenza, Susan vede sempre più chiaramente come quel libro sia il racconto di una vendetta, che la costringe a rivalutare le scelte fatte e risveglia in lei una capacità di amare che temeva di aver perso. Il trucchetto antico del testo nel testo, doppia dimensione spazio/temporale nel racconto, è l’elemento più affascinante di Nocturnal Animals (tratto dal libro di Austin Wright); ma anche il suo limite drammaturgico visto che gli accadimenti devastanti del bordone narrativo evocato dalla lettura del romanzo si mangiano la pallida storia e conclusa storia d’amore tra Susan ed Edward. “Nonostante sia una donna borghese che sta bene, Susan è un personaggio vittima di una cultura del dover essere e delle convenzioni della società americana”, ha spiegato il regista, acclamatissimo da stampa e fan. “Questo film l’ho comunque girato con l’obiettivo di comunicare allo spettatore di tenersi strette le persone che per lui o lei valgono, e non lasciarle mai più”.