Ventuno anni dopo la regia di Braveheart – il Lido porta bene agli Oscar, ricordate?- e dieci anni dopo l’ultimo film da regista - il contestato Apocalypto – Gibson, barba folta e lunga, polo scura e braccia muscolosissime tipo guardia da football americano, ha mostrato in anteprima mondiale la storia del soldato semplice Desmond Doss
Mel is back. Gronda sangue, fede, fuoco e mitragliate, il ritorno di Mel Gibson al Festival di Venezia, Fuori Concorso, con Hacksaw Ridge. Ventuno anni dopo la regia di Braveheart – il Lido porta bene agli Oscar, ricordate?- e dieci anni dopo l’ultimo film da regista – il contestato Apocalypto – Gibson, barba folta e lunga, polo scura e braccia muscolosissime tipo guardia da football americano, ha mostrato in anteprima mondiale la storia del soldato semplice Desmond Doss, colui che durante la seconda guerra mondiale volle servire patriotticamente l’esercito statunitense ma da obiettore di coscienza, non senza problemi, tra regole ferree e gli alti e incazzati ranghi militari.
Mingherlino ma cocciuto, traviato da un poster kitsch a sfondo biblico quando era ragazzino e con una pietrata aveva quasi ammazzato il fratello maggiore, Desmond (interpretato con grazia da Andrew Garfield – Amazing Spider Man, The Social Network) in pieni anni quaranta con Hitler che sfila sullo schermo di un cinemino di periferia, decide che è tempo di naia. Velocissimo sullo scatto, rapido nelle prove di agilità e di resistenza, però un fucile non vuole imbracciarlo nemmeno per sogno. Un “Johnny” che a suo modo non “prende il fucile”, ma che vuole a tutti i costi finire sui campi di battaglia a fare da soccorritore. La storia vera riporta il virginiano in “azione” durante la terrificante battaglia di Okinawa nel maggio del 1945, sopra un costone di terra cratere lunare simile alle rocce della Normandia dove altri soldati Ryan vennero impallinati come bersagli, e dove lui salva 75 commilitoni feriti, mezzi morti, senza più gambe, braccia, occhi. Gesto che compie tra il tramonto e l’alba, tutto in solitaria, con dietro di sé nemmeno un marines in aiuto, ma soprattutto disarmato. Mentre i compagni usano mitragliette, fucili, pistole, lanciafiamme e granate, Desmond indossa semplicemente un elmetto, porta con se garze, morfina, lacci emostatici e una Bibbia tascabile.
“Dio, fammene salvare almeno un altro, almeno un altro”. E via la corsa di Desmond riparte e continua anche tra tunnel scavati dai giapponesi dove, per l’appunto, dona conforto e trascina fuori perfino i nemici ‘musi gialli’. Il senso del sacro è l’architrave ideologico, politico e drammaturgico di Hacksaw Ridge. La spinta propulsiva di Desmond che si fa ideale di salvezza in mezzo all’inferno viene rappresentata visivamente attraverso un iperrealismo caro al Gibson di The Passion, incentrato sul sangue colante, che zampilla, che schizza, che inonda mani, visi, corpi. Fiumi di sangue non solo sul teatro di guerra giapponese, ma anche come liaison amorosa tra Desmond/Garfield e la bellissima infermierina Dorothy/Teresa Palmer, e soprattutto come legame simbolico verso quel Dio che mette alla prova, silenzioso e solenne, l’essere umano di fronte alla violenza del mondo.
La seconda parte, quella ambientata ad Okinawa, con l’assalto alla baionetta e pugnale, americani vs. giapponesi, è poi il vero pezzo di bravura di Gibson regista, a suo agio nella ricomporre senza sbavature la densità, il senso del tragico, e il ritmo dello scontro armato, e delle sue conseguenze, senza esclusione di colpi. “Lo so che sembra un discorso commerciale, ma in quelle scene ho lavorato come fosse la regia di un evento sportivo”, spiega il regista australiano, clamorosamente pieno di tic tra cui quello di disegnare qualcosa con un pennarello sul bianco tavolo delle conferenze stampa. “In generale per questo film si è trattato di prendere un uomo ordinario e fargli fare qualcosa di straordinario. E’ una lotta morale per il protagonista, un uomo che combatte l’inferno sulla terra grazie alla sua fede e alla sua convinzione ideale”. “In un momento di guerre e di fanatismi Desmond Doss incarna l’idea del ‘vivi e lascia vivere’ indipendentemente dal sistema di valori che ci rappresenta”, aggiunge Garfield, seduto a fianco di un parterre de roi hollywoodiano composto da Hugo Weaving, Vince Vaughn, e Luke Bracey. “E’ vero – conclude Gibson – il protagonista si rifiuta persino di toccare le armi. E’ un messaggio che approvo anche nella contemporaneità degli Stati Uniti di oggi. Inoltre credo che non esistono guerre giuste, tutte le guerra sono da odiare, ma bisogna amare i guerrieri e prestargli omaggi, è questo che ho fatto con Hacksaw Ridge”.