di Nello Ghio

I sostenitori del sì al referendum costituzionale citano sempre più spesso i nostri Padri Costituenti: Calamandrei, Croce, Einaudi e altri per avvalorare (impropriamente) la tesi che questa riforma è buona anche perché va nella direzione del monocameralismo già auspicato dai Costituenti stessi durante la fase formativa e di studio della nostra attuale Carta.

Allora, andando per citazioni, mi sia consentito di aggiungerne una che considero meno impropria di quelle espressi finora da sostenitori a anche da ministri dell’attuale governo. Tomasi di Lampedusa, sappiamo, scrisse: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Nel Gattopardo fu resa esplicita la capacità dell’uomo decisionista e pre-potente di rendere sempre attuale, cioè immodificabile, la convenienza dell’attualità.

E cos’è che sostanzialmente non cambierà? Con questa finta riforma, se vince il sì, non cambierà in nulla e anzi verrà rafforzato lo schema interpretativo comune che antepone l’economia e la finanza alla politica. Risulta infatti palese, per chi vuole vedere, quanto la riforma proposta dall'”improprio” governo Renzi/Boschi vada nella direzione di rendere più forte il potere esecutivo a tutto svantaggio di quello legislativo. L’indebolimento del potere giudiziario seguirà a breve distanza. Ne risentirà – tout court – la nostra democrazia. Dirlo non è certo retorico e ripetitivo: stiamo facendo stracci del principio della divisione dei poteri, principio a cui tanto devono le democrazie di ogni paese.

Si conviene sulla necessità di una riforma costituzionale della seconda parte della nostra carta, ma certo non nel senso scritto nella norma ora posta al vaglio referendario. La riforma infatti:
⦁ non azzera affatto il bicameralismo perfetto,
⦁ non diminuisce per niente il numero dei partecipanti alla politica,
⦁ non diminuisce efficacemente i costi della politica,
⦁ non abbrevia per nulla i tempi di formazione e attuazione della leggi,
⦁ non attenua neanche un pò i processi collegati agli iter burocratici,
⦁ non riorganizza ne affina alcunché, offusca casomai le menti complicando i rapporti “istituzionali” fra Camera e Senato.

Questa riforma, da fare in fretta per dimostrare di essere abili decisionisti, nasconde il desiderio meschino e violento di perpetuare la brama di potere di taluni capi al volere dei quali i nominati si piegheranno con piacere in cambio di agi e sicurezza. Perpetueremo le difficoltà. La nostra vita associata non migliorerà. La politica come missione, già stentorea al riguardo, potrà fare sempre meno per la società intesa nel senso ormai obliato di comunità.

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